Per passare da valore aggiunto a oggetto misterioso ci vuole un attimo. Ne sa qualcosa Kinect, progetto (nato come) sperimentale nella scorsa generazione di console e portato avanti con Xbox One, sul cui prezzo finale grava almeno per un centone.
Poco male, si è convenuto finora: i tanti giocatori che hanno investito nella nuova piattaforma di Microsoft l’hanno fatto consapevoli, forse speranzosi di quanto Kinect potesse o avrebbe inciso sull’acquisto che si avviavano a fare. Quello che però non sapevano era che, diversamente da quanto successo con la versione per Xbox 360, il Kinect di Xbox One (o Kinect v2, o Kinect 2.0, a voi la scelta) è stato fornito in bundle con la console e non è stata offerta alcuna motivazione ludicamente valida per questa imposizione.
Va bene, abbiamo parlato in lungo e in largo dell’integrazione della periferica con la dashboard e i vari sistemi innestati all’interno della console grazie all’apporto del dispositivo. Ma i giochi? Dove sono finiti i titoli basati su o comunque capaci di mostrare le sue potenzialità? Il day one di Xbox One, scusate il gioco di parole, non è stato in grado di fornire una giustificazione per quel €100 in più rispetto alla concorrenza, sic et simpliciter. E il fatto che si sia dovuto attendere aprile per Kinect Sports Rivals, primo esponente della schiera tutt’altro che folta di produzioni motion-based, la dice veramente lunga sul modus operandi next-gen del colosso di Redmond. Ma quel che è stato è stato, scurdammc o passat, come si suol dire dalle parti di Napoli. Pur con l’ingiustificabile ritardo cui ho assistito un po’ stupito in questi mesi, Rare ha finalmente messo sul piatto la prima esperienza interamente dedicata a Kinect, e lo ha fatto con una sapienza che pochi le riconoscono. Kinect Sports Rivals, infatti, semplicemente funziona e riesce a rimettere nel cassetto quell’aria di progetto sognante che fin dal suo annuncio la periferica di Microsoft si porta dietro.
La formula, ispirata naturalmente al successo di Wii Sports, ha trovato nella solidità del secondo Kinect un appiglio notevole, che le ha permesso di impreziosirsi con alcune finezze di grande appeal. Lo scan del “campione”, ad esempio, è tra le cose più casual e affascinanti che questa console sia finora stata capace di proporre: il risultato finale è a dir poco impressionante – quindi preparatevi a vedere un vostro alter ego incredibilmente somigliante a voi e ultrapompato nel fisico – e quello che passa nel mezzo, ossia la fase di rilevazione, è allo stesso modo uno spasso. Avrò perso almeno una mezz’ora nel vedermi ballare, sotto forma di ammasso poligonale, live sul televisore in camera mia. Sono un assaggio di futuro anche le frasi come “togli gli occhiali” o “ora puoi rimetterti gli occhiali” pronunciate dalla voce guida nella fase della creazione del personaggio.
Kinect funziona, dicevamo, ma c’è qualche caveat. Per un’esperienza ludica degna di questo nome, infatti, è fondamentale la perfetta illuminazione della sala in cui giocherete (quindi siate disposti ad accendere la luce pure di giorno), l’assenza di neri troppo intensi sia in vestiti, sia in eventuali poltrone che dovessero rientrare nella visuale del sensore e il suo corretto posizionamento. La periferica è estremamente intelligente ma sotto questi aspetti, così come nella gestione degli spazi, va aiutata.
L’uso delle mani è un aspetto particolarmente interessante. Rare ha lavorato duro per far sì che – cosa irrealizzabile nella precedente iterazione – Kinect fosse in grado di rilevare i movimenti di mani e dita. Questo si traduce nella possibilità di usare la chiusura del pugno e lo stesso pugno chiuso per stringere una roccia nell’arrampicata, per dare un colpo al pallone nel calcio o semplicemente navigare nella mappa-hub visualizzabile all’avvio del gioco. La rilevazione è buona e funzionale, come potete vedere, ma sulle dita qualche imprecisione c’è e immagino che, ugualmente, ci siano anche i margini per migliorare nell’immediato futuro.
L’esperienza dello studio britannico è comunque servita, dal momento che Kinect Sports Rivals non si incaponisce sull’esperienza controller-free e sa come chiedere aiuto, quando necessario, agli altri strumenti messi a disposizione dalla console. Se quindi doveste avere un problema nell’attivazione del turbo della vostra moto d’acqua, ad esempio, potrete gridare il relativo comando vocale e uscirvene puliti (nonché vincitori); idem per il pad, che potrete chiamare in causa qualora il sensore non dovesse riuscire improvvisamente a rilevare le gambe o le mani. Una nota positiva, questa, perché l’uso esclusivo degli arti superiori nella gestione dei menù può ancora causare qualche arrabbiatura.
Gli sport su cui vanno ad applicarsi le belle cose che ci siamo detti finora sono sei e, devo riconoscere, qualcuno sa farsi valere anche come attività fisica. Penso al calcio che, pur nella sua staticità e regolamentazione degne del basket, è piuttosto stancante e replica meglio degli altri mini-giochi la sfida della controparte reale. Appassionante l’arrampicata, pezzo forte della collezione, mentre la gara acquatica riporta bene in vita hydrothunderiane memorie. Il trait d’union è rappresentato dal negozio (in cui investire sia con valuta reale, passando per l’Xbox Games Store, che con quella del gioco), da cut-scene e storia tralasciabili, da un sistema d’esperienza anch’esso perseguibile o meno senza intaccare particolarmente la mole di divertimento che potrete portarvi a casa.
Stesso dicasi del comparto grafico: Kinect Sports Rivals porta a casa la pagnotta, offrendo qualche buono spunto di next-gen, come nel caso degli effetti d’illuminazione sull’acqua o sul colpo d’occhio delle montagne. Pochi i cali di frame-rate che ho riscontrato e comunque non tali da meritare una menzione negativa. La colonna sonora tradisce le ambizioni da party game nutrite dal gioco, che le alimenta con sfide sia in locale che online: chiaramente è proprio in queste situazioni che il potenziale di ciascuna modalità viene spinto al massimo.
Nel complesso, la terza fatica di Rare è una tardiva eppur appagante dimostrazione che si può fare. Che il sogno di Microsoft di toglierci il pad dalle mani è realizzabile e che, con un po’ di impegno e di sale in zucca in più, la stessa formula scovata dalla software house della Gran Bretagna potrà essere estesa ad altre produzioni (D4? Poi cos’altro bolle in pentola?).
La natura del progetto rimane chiara ed è certo, scontato, banale aggiungere che non siamo di fronte al tripla-A o indie da consigliare ai fan hardcore di Xbox One, così com’era pretenzioso aspettarsi qualcosa di diverso. Must-buy se stavate attendendo un buon motivo per poter dire “senza mani, mamma, senza mani!”, magari agli amici sonari, o semplicemente volete staccare la spina dalla talvolta avvilente serietà del mondo dei videogiochi.