Questo articolo rappresenta una piccola incursione di XboxWay nel mondo dell’indie a-prescindere-dalla-piattaforma. Non è detto che non ce ne saranno delle altre in futuro, per cui continuate a seguirci!
Grafica o gameplay? Esistono componenti accessorie in grado di danneggiare uno dei due aspetti o entrambi? Se sì, quali sono? Domande che nella vita di un videogiocatore, prima o poi, si presentano come la più tipica delle spade di Damocle. E lo fanno con titoli che non vorresti condannare perché hanno quel qualcosa di speciale, quell’ingrediente segreto che ti attira e non sai neppure perché.
Ricordo sempre con controverso piacere il caso di Too Human. Graficamente opinabile, limitato dal suo stesso potenziale, ma con quei controlli da twin stick shooter che inspiegabilmente mi affascinavano. Ci ho giocato più e più volte, portandolo a termine diverse volte. Una rarità per me.
Quello di The Banner Saga, invece, è un caso diametralmente opposto: i ragazzi di Stoic, Kickstarter-powered, hanno messo in piedi un comparto artistico semplicemente da favola. Disegni fatti a mano pervadono dal primo all’ultimo frame del gioco, rendendolo più unico che raro, una perla del mondo indie e dell’industria videoludica in generale. Di contro, la giocabilità, che pure avrebbe dovuto giovare delle sfide quasi scacchistiche consuete per uno strategico a turni, manca del quid di un Final Fantasy Tactics o di un Fire Emblem. E questo non me lo aspettavo.
Non mi aspettavo di ritrovarmi di fronte ad un titolo così ostico. O meglio, pensavo sarebbe stato ostico l’approccio con uno strategico a turni – lo è sempre, se questo è davvero ben fatto – e non con il resto: le scene d’intermezzo, mosse comunque in maniera pregevole con il tratto tipico della matita, sono merce preziosa quanto rara, mentre i dialoghi sono tanti e lunghi. Il punto è che questi sono esclusivamente in Inglese, un Inglese peraltro alquanto complesso, che potrebbe scoraggiare l’utente medio o il videogiocatore incuriosito da una grafica spettacolare.
La cosa può farsi frustrante specie perché il giocatore viene chiamato a intervenire nelle conversazioni, a far valere la propria scelta nell’impostazione delle missioni. Del tipo: c’è da fare irruzione in questa osteria (l’ambientazione è vichinga…), vogliamo sfondare la porta principale o entrare dal retro? Una bella idea, coinvolgente, ma tra un approccio e l’altro non ho trovato grandi differenze.
Sono queste, in sintesi, le componenti accessorie di cui vi parlavo in fase d’introduzione. Nelle mie tre-quattro ore di gioco, grazie al codice preview fornitoci dall’editore e alla prova su strada effettuata su PC (chiave compatibile anche con Mac), mi sono fatto un’idea piuttosto chiara, che non è troppo positiva: qualcosa va ritoccato, e mi riferisco quantomeno ai sottotitoli – almeno – in Inglese per le cut-scene e in Italiano per i dialoghi; qualcosa va approfondita, come i meccanismi del gameplay di cui parleremo tra qualche riga, ma il giudizio non può chiaramente essere completo trattandosi sostanzialmente di un’anteprima.
E, a proposito di gameplay in senso stretto, quello che si presenta all’arrivo sul campo di gioco è un quadro solo apparentemente intricato. Gli attacchi sono di due tipi, uno dei quali in grado di danneggiare di più il nemico ma incapace di fornire la copertura altrimenti assegnata. Per utilizzarli è necessario inquadrare l’avversario su una scacchiera non troppo grande: agli slot disponibili è possibile aggiungerne altri di volta in volta con l’uso di willpower, un ingrediente quantitativamente limitato.
I turni sono bloccati e prevedono l’alternanza tra i due schieramenti, ad eccezione di quando uno dei due schieramenti si trova con un unico esponente. Ad impreziosire il tutto abbiamo un set di skill potenziabili in pieno stile ruolistico, che potrò approfondire in sede di recensione e con qualche ora di gioco in più: quelle necessarie per capirne l’impatto sulle vittorie (o le eventuali sconfitte).
Tenendo conto di quello che ho visto e di quanto vedrò nei prossimi mesi, dunque, The Banner Saga si propone come titolo da provare per credere: per credere se la sua durezza possa essere smussata prima dell’uscita, se le sue qualità possano venire esaltate dalle ore di gioco che gli utenti verranno chiamati a macinare.
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