La chiusura di LucasArts come software house e la conseguente trasformazione in licenza da assegnare a chi vuole sviluppare i suoi marchi ha sicuramente smosso l’industria e infranto i cuori dei più nostalgici. Si conclude un’era da ricordare soprattutto per quei grandi titoli usciti negli anni novanta che portano i nomi di Monkey Island e Grim Fandango.
Ma oltre a questi, cos’era diventata negli ultimi anni la leggendaria LucasArts? Ricordo con piacere i vari Star Wars: Knights of the Old Republic e Star Wars: Battlefront, dei titoli capaci di portare in alto il nome della saga di George Lucas anche nel mondo dei videogiochi, ma pur sempre sviluppati da studi esterni. Da appassionato di Guerre Stellari, cito pure i due Il Potere della Forza, sebbene oggettivamente non vadano oltre la valutazione di action sufficienti. Sorrido all’idea che l’ultimo prodotto discreto, anch’esso su licenza, a portare il nome della saga di Lucas sia stato Angry Birds Star Wars di Rovio, un gioco mordi e fuggi per smartphone.
Non voglio girarci intorno: i tempi di Tim Schafer, Ron Gilbert e soci sono solo un lontano ricordo. Insomma ragazzi, capisco le (giustificatissime) lacrime nostalgiche ma, visti i risultati degli ultimi anni, la mossa di Disney non mi sembra tanto maligna e criticabile – può però essere un’arma a doppio taglio.
La situazione di Disney è chiara e comprensibile: dopo aver speso miliardi nell’acquisizione del brand Star Wars, di Lucasfilm e di tutto ciò che ne consegue, la casa di Topolino ha bisogno di monetizzare e i videogiochi (miniera d’oro in grado di fatturare più incassi del cinema) sono una chiave fondamentale per arrivare al conseguimento di questo obiettivo. Sfornare titoli di media fattura o problematici – e mi riferisco soprattutto al fallimentare MMORPG Star Wars: The Old Republic – non fa altro che ledere l’immagine della compagnia, oltre che vendere poco.
Come dite? Star Wars 1313? Per quanto ne sappiamo la sua situazione era piuttosto tragica, con un bel niente tra le mani oltre a quella famosa demo spacca-mascella dell’E3 2012. Il progetto era in pausa già da tempo e sicuramente sarebbe diventato il classico vaporware di inizio generazione.
Lo stesso si può dire del fantomatico Star Wars: First Assault, un titolo di cui molti di voi saranno venuti a conoscenza all’annuncio della sua cancellazione e di cui non conoscevamo niente al di fuori dei recenti rumor.
Come dicevo prima, trasformare LucasArts in una licenza da assegnare a quanti interessati allo sviluppo dei suoi franchise o di titoli basati sull’universo di Star Wars potrebbe rivelarsi una mossa vincente, di cui ne beneficeremo anche e soprattutto noi videogiocatori.
Riportando ancora l’esempio di KOTOR e Battlefront, due progetti sviluppati rispettivamente da Bioware e Pandemic, la via dello sviluppo assegnato a terzi dovrebbe iniziare a piacere a tutti. Chi di voi non sarebbe disposto a spendere fior e fior di quattrini per uno Star Wars action sviluppato dai convincenti Ninja Theory o per uno strategico a cura di Firaxis (i responsabili dell’ultimo XCOM)? Ben pochi, credo, anche se gli esempi da me riportati sono bizzarri e poco plausibili attualmente.
Disney sponda videogioco è però in fase di ristrutturazione, una ristrutturazione che ha visto la chiusura di Junction Point, lo studio dell’altrettanto leggendario Warren Spector dietro Epic Mickey, e il probabile focus verso dei modelli di sviluppo più profittabili (free-to-play e smartphone) potrebbe rivelarsi l’arma a doppio taglio della trasformazione in licenza a cui mi riferivo.
Se la cancellazione dei due titoli in lavorazione si rivelerà vera, riusciremo a vedere i risultati di questa sconvolgente chiusura soltanto tra qualche anno. Ma per ora, nostalgia e tristezza per le persone che hanno perso un lavoro a parte, non possiamo fare altro che sperare. E fossi in voi inizierei a pregare in un set dedicato a Star Wars per Disney Infinity, quello sicuramente è il male (?) minore.
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