C’è chi dice che i videogiochi abbiano bisogno di storie da raccontare. Eccomi. C’è chi dice che i videogiochi abbiano bisogno di un’ondata di novità relativa al gameplay, mutuabile magari dalla freschezza dei titoli indipendenti. Credo che Deus Ex: Human Revolution concili entrambe le opinioni: meccaniche complesse come quelle viste nel prodotto della scuderia Square Enix fanno da sfondo a una trama articolata, ben raccontata e credibile in ogni sua sfaccettatura. Le poche missioni secondarie, basti pensare questo, servono ad alimentare il fuoco della quest principale o ad arricchire di dettagli un universo definito (anche) dai precedenti capitoli.

Un incidente. Dalla morte può nascere la vita. Almeno nel 2027, anno in cui mette le radici uno Human Revolution più che mai ispirato – con tanto di gag con gli NPC – a Blade Runner e alle sue distopiche, inquinate città del futuro. Ed è così, dalla morte che gli sfiora il viso con un pugno e conseguente schianto-nel-muro, che il nostro Adam Jensen (secondo alcuni, la reincarnazione di Solid Snake) muove i primi passi in un mondo dove il reale non è reale e il complotto è lì dietro l’angolo. Il mondo delle mutazioni genetiche con cui salvare una vita e distruggerne altre; il mondo in cui, parliamoci chiaro, un manipolo di terroristi si infiltra nei pacifici difensori dell’essere umano con i suoi pregi/difetti e fa stragi di innocenti. Sono tornato coi piedi per terra, perché a ogni causa remota ne consegue una prossima, ma resta chiaro che il modo in cui le due si combinano è sottilmente magistrale.

Se questa è la trama articolata di cui sopra, è giunto ora il momento di scomporre e riassemblare le componenti di una giocabilità tutto sommato vincente. Il terzo Deus Ex mostra la maturità necessaria per alternare fasi stealth, che (non solo per la somiglianza tra i protagonisti) ci ricondurranno con la fantasia a un Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty in prima persona, e brutalmente action: gli sviluppatori hanno pensato di sconsigliare, con una serie di escamotage come la scarsa agilità dello sparo all’infuori della copertura, quest’ultima opzione, ma è evidente quanto spetti all’utente scegliere la propria strada. A tal proposito rispolveriamo le nostre conoscenze in campo di RPG: quello sfornato da Eidos Montreal è un mix di più generi tra cui compare in bella e forte mostra anche la ruolistica – negli update in praticamente ogni minimo angolo del corpo di Jensen ma anche nelle scelte relative al dialogo che, insieme a un abbozzo non troppo convinto di espressioni facciali, ci rimandano invece alla saga di Mass Effect. Contaminazioni, oltre che miscuglio di percorsi ludici, a cui è facile cedere per il gusto di mostrarsi intenditori dell’ultima ora e, perché no, per mettere le mani su un videogioco che mantiene un’identità pur stando al passo coi tempi.

È dunque con sommo piacere che do il bentornato nell’industria al marchio Deus Ex: un’IP che va oltre la sua realizzazione tecnica – perfettibile: le animazioni di L.A. Noire sono molto lontane, l’intelligenza artificiale mostra routine affascinanti (le guardie che si voltano nel loro girovagare per i corridoi) ma talvolta dà i numeri, i comandi sono inizialmente scomodi, il pur gradevole pacchetto grafico necessita dell’installazione per vedere ridotti tempi di caricamento fin troppo lunghi e cali di frame-rate – e che mi fa guardare al futuro dell’intrattenimento su console con occhio un tantino meno stanco.

“Tell me a story”, recita la nostra copia in inglese al passare sulla difficoltà consuetamente denominata facile. Un modo di vedere il gioco che non si pone contro il gameplay o la narrazione ma che, piuttosto, si mette tra gli estremi, concilia due filosofie che farebbero sempre bene ad incontrarsi. Perché, sapete, c’è chi dice che i videogiochi abbiano bisogno di storie da raccontare; c’è chi dice che i videogiochi abbiano bisogno di un’ondata di novità relativa al gameplay…

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