Sentivo davvero il bisogno di un action-platform su Xbox 360. Ad occhio e croce, era dai tempi di Kameo che non mi godevo qualcosa del genere su una console che, parliamoci chiaro, straborda di FPS – non sono il male della società, ovviamente – e titoli più o meno particolari a cui i recensionisti cercano di dare un senso filosofico. Alice: Madness Returns fa il suo dovere, diverte con una formula semplice, quasi old-gen per com’è strutturata, e così facendo rimane fedele alle caratteristiche tramite cui questa bella serie si era fatta conoscere. Primo tra tutti, il rapporto azione-reazione tra il mondo della fantasia e quello della realtà.
American McGee fa un passo indietro e lascia ad Electronic Arts l’onere di metterci la faccia. Il publisher U.S.A.-based non ha moltissimo coraggio, o almeno è parecchio saggio, perché lancia il gioco in pieno giugno, quando i compratori iniziano a preferire il mare alle spese ludiche ma, è da sottolineare, c’è meno concorrenza in giro. Peccato, in tutto questo marasma di idee, che titoli del calibro di Shadows of the Damned (l’ho letteralmente divorato, courtesy of Sergio Giannone) e appunto Alice non possano mostrarsi su palcoscenici dove non sfigurerebbero affatto. Quelli autunnali, di ottobre e novembre, su cui avrebbero a confrontarsi con i mostri sacri che hanno poca voglia di rischiare e tanti, tanti soldi.
Il risultato della retromarcia di McGee è comunque gradevolissimo. Se da un lato Madness Returns non si lancia per niente in sperimentazioni dell’ultima ora – le meccaniche platform-action-rompicapo hanno funzionato due generazioni fa – e in trame dall’alto tasso drammatico (pur avendo quest’ultimo tassello dei risvolti interessanti, come il trattamento della follia in epoca vittoriana e la prostituzione anche minorile), dall’altro porta in scena paesaggi suggestivi pure in 2D e conversazioni che del politically correct hanno proprio poco. Perle di sconciatezza e violenza gratuita alternate alla dolcezza di una location costruita su un castello di carte.
[img alt='Tra le migliori location, oltre alla presente e ai paesaggi in genere del Paese delle Meraviglie, una Londra che ha poco da invidiare a quella di Tim Burton' align='center' width='400']/immagini/Articoli/category1505/picture114526.aspx[/img]
C’è da evidenziare, però, che le appena menzionate ambientazioni hanno del riciclato in molti dungeon, sebbene la sensazione di dejà-vù sia letteralmente messa al tappeto dalle numerosissime varianti di gioco a cui verremo sottoposti: dagli scacchi a una curiosa forma di bowling, passando per il ritrovamento di tesori secondari, il rischio di annoiarsi non è assolutamente dietro l’angolo. Non mi è piaciuto, invece, il modo in cui sono stati sfruttati i personaggi alla base delle opere di Carroll: marginale il ruolo di spalla dello Stregatto – consigli superflui prima delle boss fight e rara simpatia (tranne che per un bel monologo a cui vi auguro di arrivare), ridottissima la presenza della Strega Rossa che, al contrario, aveva recitato la parte del leone nel precedente episodio della saga. Prova di maturità rispetto alle fonti d’ispirazione, certo, ma con un pizzico di "cattiveria" in più questi caratteri potevano essere sfruttati meglio.
Nota tecnica in chiusura. Da apprezzare l’uso che il team a disposizione di McGee ha fatto del vituperato Unreal Engine: il pop-in delle texture è limitato al massimo (meno del primo Gears of War, oserei dire), una manciata di ambienti grida all’arte e i nemici hanno dell’originale. Quando poi Alice passa dalla sua versione mini a quella gigante, i più attenti al comparto visivo
potranno esultare per il numero di cattivoni sullo schermo.
Alice: Madness Returns è l’esempio di come si può svolgere un lavoro pulito, e a tratti esuberante, senza gli investimenti delle grandi produzioni. Rammarico per un’uscita così "riservata" e per la scarsa pubblicità che un titolo del genere – sviluppato inoltre su un brand rinomatissimo – proprio non riesce a digerire. Sarà per la prossima?
8 |
/10 |