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A beta chiusa, i nostri due cents sull’ultimo Halo di Bungie.
di Paolo Sirio
Titolo: Halo: Reach
Genere: FPS
Piattaforma: Xbox 360
Sviluppatore: Bungie
Publisher: Microsoft Game Studios
Data di uscita: 14 Settembre 2010
Si è fatto un gran parlare, per forza di cose, dell’addio di Bungie alla serie che, prima tra tutte, ha dato lustro a Microsoft e alla sua console di nero laccata. Crediamo poco, forti di un legame che difficilmente si dissolverà tra la software house di Seattle e l’utenza Xbox, alla malinconia magari un po’ forzata, al pessimismo cui questo saluto sembra relegarci. Halo: Reach è, in tutto e per tutto, il miglior commiato che gli sviluppatori americani avrebbero potuto auspicarsi e auspicarci; Halo: Reach nasconde un saluto quasi commosso tra le righe del proprio codice online e non, piuttosto che in quella manciata di parole, rigate da una lacrima virtuale, al termine dei titoli di coda. Lo stesso accadrà per questa recensione: non ci lasceremo prendere dalla nostalgia, omaggeremo un grande franchise con il giudizio più obiettivo che riusciremo ad elargire, piuttosto che con un arrivederci. Piuttosto che con un grazie.
Bisogna ammetterlo: è sempre stato meglio giocarlo, Halo, piuttosto che parlarne penna alla mano. La vastità di un simile titolo, infatti, ci pone nella scomodissima posizione di dover cercare il giusto compromesso tra sintesi e completezza, tra il fascino di taluni dettagli e l’amaro per alcune sbavature che, lo anticipiamo sin da subito, non sono mancate. In nostro soccorso, fortunatamente, possiamo chiamare l’ampio hands on che il sottoscritto ha firmato in occasione della beta multiplayer grazie alla quale, nel mese di Maggio, siamo sbarcati per la prima volta su Reach. Una beta che, col senno di poi (anche di prima, l’avevamo ampiamente predetto), si è dimostrata molto indicativa: il prodotto finale, merito di Bungie, ha mantenuto inalterate le potenzialità online della saga, spingendole, se possibile, ancora oltre; ragion per cui, vi invitiamo a leggere (anche) l’articolo di cui sopra, che ci consente di parlare con maggiore calma degli aspetti legati all’esperienza single-player e di quelli più reconditi del pacchetto multigiocatore.
In virtù di tali premesse, passiamo a delineare i tratti fondamentali della trama che si nasconde dietro Halo: Reach. Una manciata di preoccupanti avvisaglie lascia intendere che la temuta alleanza aliena, i Covenant, stia pensando di attaccare nell’oscurità un pianeta appena occupato dagli umani. Il nome del pianeta è Reach, ciò in cui l’UNSC è appena incappata sfugge al comprendonio dei suoi leader: viene inviato in ricognizione il prestigioso Team Noble, a cui i vertici assegnano prima il compito di salvaguardare la sicurezza sul territorio, poi quello di riportare a casa l’intelligenza artificiale che è stata ritrovata tra le rovine di un’antica civiltà. L’utente sarà chiamato a vestire i panni di Noble Six, l’ultimo arrivato nella squadra di eroi che decideranno le sorti della guerra contro i nemici della Terra, e a gestire una narrazione tutt’altro che lineare: è una consuetudine della saga, d’altronde, vivere di entusiasmanti alti e paurosi bassi, momenti in cui la console sembra voler esplodere dall’eccitazione e altri per cui verrebbe proprio voglia di spegnerla; abbiamo notato, nella fattispecie, diverse aggiunte di troppo nel calderone della grandissima varietà cui il titolo attinge, specie nelle “quest” strettamente antecedenti al ritrovamento della preziosa IA. Quando tutto sembra essersi portato all’inesorabile conclusione – più o meno alla nona ora delle dieci circa che ci sono servite per la campagna, qualcosa va ad intromettersi tra la fine e il giocatore. Ma non sempre, ahinoi, lo fa in punta di piedi; talvolta manca un frammento, una connessione di qualunque tipo che avrebbe potuto rendere meno disperso il sapore ultimo della vicenda. Ciò non significa che questo prodotto non sia la degna chiusura della saga, anzi: a nostro avviso, gli sviluppatori star-spangled hanno messo in scena il miglior finale della loro carriera, frutto di una scelta – quella di lasciare a noi azioni e interpretazioni – coraggiosa quanto spettacolare.
Ne consegue un gameplay prepotente, che si afferma su tutti gli altri aspetti (comunque fortissimi, ricordiamoci di cosa stiamo parlando) e mette al centro dell’attenzione chi stringe il pad tra le mani. Niente bolle complicate da capire e scudi catenacciari: è finalmente giunta l’ora di jet-pack (ci siamo chiesti come mai gli Spartan non avessero volato, finora), invisibilità à la Elite, sprint, proiettore olografico e armor lock, ossia una impenetrabile barriera di protezione, ossia una condanna a morte per coloro che attaccano a viso aperto; personalizzazioni che modificano l’approccio di ciascuno al singolo – non le useremo eccessivamente – come al multiplayer, regalando all’avventura ulteriori motivi di diversificazione. E, restando in tema di varietà, la campagna ne offre a palate: tantissimi i compiti che ci verranno di volta in volta assegnati, tra una sparatoria all’aperto e un’altra indoor. Citiamo, prima del piatto forte, il consueto (graditissimo, rinnovato da altri mezzi “civili”) ricorso a Scorpion, Pelican, Mongoose per il raggiungimento di determinati obiettivi, che risulta davvero divertente da soli e in cooperativa; ma è non è certo in compagnia che abbiamo assistito a una delle sezioni più spettacolari dell’intera serie – la battaglia nello spazio aperto. Come per i razzi al posteriore degli Spartan, la guida di una navicella era sinora mancata inspiegabilmente all’Halo videoludico: in maniera opposta alla già citata fase pre-finale, questo pezzettino di single-player sembra cucito nella storia del gioco, costituito della stessa struttura di cui fa parte, calato alla perfezione nei meccanismi già collaudati con lo sfrecciare dei mezzi di terra. I controlli sono infatti identici a quelli di un Warthog, ripuliti dalla componente “derapata” che così affascinante ha reso l’ormai celebre fuoristrada (da provare nella versione con lanciarazzi), ma comunque elaborati nella loro immediatezza e nell’equilibrata durata delle missioni affidateci. A quando un Master Chief fluttuante intorno alla Luna?
Per il momento, ci spiace riportarvi coi piedi sulla terraferma, dovremo “accontentarci” di navigare online, tra le nove mappe, tutte più o meno sullo stesso livello, e la dozzina di modalità (Team Slayer e Swat le preferite di XboxWay) che Bungie ha preparato per l’utenza affamata di multiplayer. Come osservavamo in apertura, sono state confermate in pieno le nostre impressioni relative alla beta pre-release: Reach è una vera e propria droga, un ciondolo ipnotico che vi terrà incollati al monitor e non vi farà pensare ad altro quando l’avrete spento. Merito degli encomi, intelligentemente mutuati da Modern Warfare 2, e dell’Armeria, che “venderà” un numero interessante di aggiornamenti per l’armatura; senza contare, naturale, le tantissime opzioni che mirano a rendere questo matchmaking – rapida e concreta la selezione degli avversari, tra parentesi – qualcosa di unico per intensità e divertimento nel panorama videoludico. Doverosa, ad esempio, una citazione per Arena e Fucina: la prima, un torneo a stagioni (una manciata di settimane, in realtà) che vedrà l’utente impegnato a sgomitare per guadagnarsi un posto nei migliori battaglioni dell’universo – volendo ricondurla a schemi più classici, si può parlare di “semplici” partite classificate per quanti amano la sfida con punteggi e personaggi dalle grandi abilità; la seconda, il luogo ideale per chi si sente architetto negli angoli remoti della propria psiche e vuole condividere tale passione col resto del modo (o con gli amici in co-op). La costruzione della mappa può essere però avviata solo da quanti abbiano una certa attenzione al budget, un occhio attento e tanta, tanta pazienza: sebbene i tool di sviluppo siano tanti e pratici da usare, quello della Fucina resta un editor serio, particolareggiato fino alle estreme conseguenze (della fisica, pure); dal canto nostro, abbiamo messo mano alla preparazione di una pista per Mongoose, e vi possiamo assicurare che, nonostante gli evidenti limiti di un giocatore devoto a tutt’altri ambiti dello scibile, il divertimento non è assolutamente mancato. Vi rimandiamo ancora all’anteprima di fine maggio per ulteriori precisazioni sul resto di un comparto che sarebbe limitato definire… illimitato.
E’ giunta l’ora di storcere il naso, cioè di guardare ai difetti che minano la perfezione dell’ultimo Halo from Seattle. Sono due gli appunti in tal senso: a differenza di quanto emerso dalla demo pre-cedentemente provata, il frame-rate soffre nelle fasi più concitate dell’esperienza offline – segno che i tanti effetti sullo schermo, al solito belli da vedere, mal sopportano l’anti-aliasing finalmente piombato su ambientazioni e protagonisti. Altro sassolino nella nostra scarpa, l’esagerata e inutilizzata grandezza di talune location; lo si nota soprattutto nelle fasi iniziali dell’avventura: gli spazi aperti e chiusi riempiti di semplici scatole, vuoti di sbloccabili o altre chicche che hanno fatto la fortuna, a titolo d’esempio, di titoli come Alan Wake, non sono certamente un incentivo all’esplorazione (forte da Combat Evolved ma sempre fine a sé stessa, tranne che in ODST). Qualcuno dirà: un prodotto così frenetico non ha bisogno di certe cose. Benissimo! Accorciamo le mappe nei punti in cui nemmeno serve che ci siano depositi del nulla, e vedrete come ne guadagnerà la qualità finale del mero sparatutto. Mero perché, e qui chiudiamo, manca dei momenti da cartolina che hanno reso leggendaria questa saga: le colline del pianeta-anello ancora ci fanno venire i brividi, mentre Reach, sebbene tragga maggiore profondità dall’ispirazione al romanzo, semplicemente non ha nulla del genere.
Ma non vogliamo certo lasciarvi con l’amaro in bocca. Con ogni probabilità, Halo: Reach è il meglio che Bungie potesse fare adesso per la serie; non il suo meglio, non il massimo, ma un grandissimo lavoro di qualità e quantità. Alti e bassi: pensiamo a Xbox Live e al finale, epico e aperto come mai prima d’ora, ma anche al colpisci-la-torretta quasi da sbadiglio di pochi minuti prima. In questa direzione, è giusto che la longevità della campagna non superi le dieci ore; è giusto che gli sviluppatori abbiano passato il testimone.
Valutazione Generale
Presentazione: 10
Chi non ha subito il fascino dei menù fino a tentare di fotografarli… alzi la mano. Tre confezioni, una più spettacolare dell’altra, consegneranno Reach alla storia di Xbox 360.
Gameplay: 9.5
Tutto ciò che un FPS dovrebbe avere per risultare appassionante e vario, Reach ce l’ha. Mezzo punto in meno per l’ordine e la tempistica, non sempre perfetti, con cui il collage è stato portato su schermo.
Grafica: 9
Buono il lavoro di Bungie sulla grafica: non mancano chicche d’ingegneria – il campo visivo allargato, la vegetazione dinamica più convincente che in passato, l’anti-aliasing con cui alleggerire le scalettature – che portano Halo un passato avanti rispetto alle sue ultime apparizioni.
Sonoro: 9
Consueto valore aggiunto della saga, la colonna sonora firmata da Michael Salvatori e Martin O’Donnell si cala alla perfezione nell’atmosfera cupa, talvolta entusiasta, talvolta depressa del gioco.
Longevità: 9.5
Campagna da dieci ore (difficoltà Normale), Sparatoria al ritorno senza grosse novità, co-op fino a quattro giocatori, dozzine di modalità online… Difficilmente, e tra parecchio, riuscirete a staccarvi da Halo: Reach.
Multiplayer: 10
Una nuova milestone per Xbox 360, un esempio da seguire per quanti lavorano nel settore (pensiamo a Forza Motorsport, l’unico che abbia raggiunto una simile interazione community-gioco). Reach apre un nuovo mondo nell’universo già sterminato di Halo.
Voto Complessivo: 9.5
Speriamo che diecimila e passa caratteri siano serviti a farvi capire che, tenuto conto dei difettucci che il franchise sembra trascinarsi da tempo, Halo: Reach è un titolo che non può mancare nella vostra collezione.