L'impressione è che Square Enix faccia fatica a sfruttare il suo stesso potenziale

Hitman: Absolution premia l’intelligenza

di • 3 dicembre 2012 • RecensioneCommenti (1)1858

C’era da aspettarselo: un tipo “silenzioso” come l’Agente 47 sapevamo che ci avrebbe fatto aspettare molto, forse troppo tempo prima di farsi risentire. Conoscendo le sue abilità stealth, è probabile che nei sei anni passati dal lancio di Blood Money siano usciti altri giochi della serie e che nessuno se ne sia accorto. Adesso conta solo che quest’attesa sia giunta finalmente al termine e che IO Interactive abbia deciso di omaggiare il mondo dei videogiochi con un titolo di cui quest’ultimo aveva estremo bisogno – Hitman: Absolution.

Partiamo proprio da qui, da quell’”estremo bisogno” che la povera industria videoludica aveva del franchise ora nelle mani di Square Enix. Tiro in ballo il concetto di necessità tutt’altro che per caso. In una generazione che ha fatto dell’imprudente sparatutto il suo marchio di fabbrica, si è sentita la mancanza di un gioco che non solo premiasse la silenziosità ma che, nel suo permettere di scegliere anche un approccio à la Rambo, punisse l’avventatezza di certe azioni e sfidasse così l’utente a fare di più, a ripetere porzioni di campagna per migliorare il suo punteggio e se stesso. Il nuovo Hitman arriva pertanto in colpevole ritardo, dopo aver lasciato l’industry priva di un punto di riferimento nell’ambito del gameplay riflessivo e campo libero a proprietà intellettuali inedite come Assassin’s Creed o Dishonored, che primeggiano senza competizione.

Migliorare se stessi, eh? Non so se ricordate le missioni VR di Metal Gear Solid: ecco, i livelli di Hitman: Absolution funzionano nello stesso modo, sono delle grandi sfide contornate da un – importante – elemento narrativo che lega tra loro le varie stanze. Gli sviluppatori di Copenhagen sono stati molti generosi e hanno pertanto pensato a decine e decine di modi alternativi per far sì che gli obiettivi venissero portati a lieto fine; avrete sempre a disposizione dei piccoli dettagli aggiuntivi – spesso e volentieri a costo di una morte che incide poco sulla volontà di continuare a giocare – che vi permetteranno di raffinare il vostro metodo o più semplicemente lasciare meno tracce e guadagnare così più punti. E farlo, posso garantirvelo, è davvero gratificante.

Se fossi nei vostri panni, però, mi chiederei se passare così tanto per il game over non sia un’esperienza frustrante. Ebbene no, la risposta è negativa. A meno che non siate completamente fuori dallo spirito del franchise, e cioè non desideriate uno qualunque dei Gears of War sul mercato, avrete sempre voglia di “imparare” qualcosa di nuovo sull’ambiente e sul comportamento della buona intelligenza artificiale. Per farlo dovrete essere estremamente guardinghi – e riuscirci senza morire è l’apoteosi, nonostante richieda una dedizione che, se non ne avete o potete fornire, fareste meglio a passare ad altri lidi – o adottare una strategia particolarmente offensiva che, volenti o nolenti, vi condurrà più volte tra le braccia della Morte. Ma, ripeto, la vostra reazione sarà “mannaggia, sapevo che avrei dovuto fare in quest’altro modo” connesso al riavvio della partita, e non un “non ne posso più!” con tanto di lancio libero del joypad. Un pregio che pochissimi hanno.

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Della struttura a camere stagne del gioco ha approfittato IO Interactive per lanciare l’inedita modalità Contracts. Questa fa da vero e proprio contraltare alla campagna, e rappresenta il primo, timido e riuscito avvicinamento al multiplayer. Saprete già in cosa consiste: i giocatori sono liberi di creare un livello e condividerlo, con regole e avversari istruiti ad hoc, con gli altri. Idea semplice che sta riscuotendo un grande successo di pubblico, per cui, è questo il messaggio, non temete di restare con le mani in mano una volta che vi sarete stufati del pur rigiocabile single-player.

L’uso della folla ai fini del gameplay è allo stesso modo da elogiare. Sì perché, rispetto ad un Assassin’s Creed che vanta azioni scriptate per celarsi tra i cittadini mediorentali, italiani e americani, Hitman: Absolution si lascia raramente andare all’evento precalcolato, al rifugio sicuro (penso alle macchinette da gioco in stazione) contro ogni logica di realismo, e mette tutto nelle mani del giocatore. Se questi sarà abbastanza bravo da tenersi alla larga da sguardi indiscreti, usando magari il suo istinto da killer per guardarsi attorno, avrà qualche speranza di sopravvivere; ma nessuno si aspetti di risolvere la situazione alla pressione di un singolo tasto. Peccato solo per qualche collisione ai limiti dell’old gen e una scarsa varietà nei modelli dei personaggi, in genere tutti uguali l’uno all’altro, anche se non so quanto ci farete caso con decine di poliziotti alle calcagna…

Non intendo andare oltre e insultare la vostra conoscenza di Hitman con citazioni ai travestimenti, allo splendido doppiaggio (ho testato la versione in lingua originale e non me ne pentirò mai), allo stile grafico più unico che raro dei titoli della software house danese, all’inaudita rifinitura di ogni singolo aspetto della produzione, dai menù allo studio dei perk passando per la trama.

Vi consiglio soltanto di lanciarvi nella rifinitissima avventura di Absolution, che siate fan della serie e degli stealth o semplicemente abbiate interesse e tempo per misurarvi con qualcosa di scalabile da un punto di vista della difficoltà ma non snaturabile quanto a meccaniche di gioco. E cioè quanto a se spari quando non serve perdi, se giochi d’intelligenza e pazienza vinci a mani basse.


Sviluppato da IO Interactive e pubblicato da Square Enix, Hitman: Absolution è disponibile per PC, PS3 e Xbox 360 dal 20 novembre.

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  • FeliceDiGi

    Grandissimo titolo di fine generazione, forse uno dei migliori dell’annata. Ora sono curioso di vedere cosa combinano con la next gen.