Recensione – Dragon Age: Origins (Xbox 360)

di • 6 dicembre 2009 • RecensioneCommenti (0)831


Titolo: Dragon Age: Origins
Genere: RPG
Piattaforma: Xbox 360
Sviluppatore: Bioware
Publisher: EA Games
Data di uscita: 20 Ottobre 2009

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Quando valutiamo un prodotto Bioware, non possiamo evitare di finire in lunghi paragoni con quelli che sono i titoli precedenti. La formula della software house di Edmontonè rimasta invariata negli anni e ha reso incredibilmente famosi un gran numero di marchi. Lo stesso discorso, come potete immaginare, è applicabile a Dragon Age: Origins, considerato il seguito spirituale del ben più famoso Baldur’s Gate, da cui eredita epicità e atmosfera.

[img alt='Le abilità acquisibili differiscono di classe in classe, seguendo uno schema ormai consolidato dalle produzioni Bioware.']/immagini/Giochi/category1903/picture109843.aspx[/img]

Alle prime battute di questa nuova IP, ci ritroveremo a dover creare un personaggio, caratterizzato in base ai parametri di nostra scelta. Terminata questa (lunga) fase, verremo catapultati in una delle sei introduzioni differenti – due per razza e derivazione sociale – che, una volta completate, daranno un forte background al vostro alter-ego e lo prepareranno a gettarsi nell’avventura vera e propria. Inutile dirvi che, ancora una volta, il mondo è minacciato da un male ben più grande di quelli messi in opera, continuamente, dagli umani. L’esercito guidato da un Arci-demone sta tentando di conquistare il Ferelden, una regione del mondo conosciuto. I Custodi Grigi, un’elite di guerrieri impegnata nella continua lotta ai demoni dell’oltretomba, saranno chiamati a risolvere l’ennesimo flagello abbattutosi sul pianeta. Con queste premesse, i ragazzi di Bioware hanno dato vita a un mondo decisamente particolare, in cui la componente fantastica dell’avventura tende a essere rimandata alla sfera mistica della vita del Ferelden. Ogni incontro con una creatura "magica" sarà un evento speciale e, in un certo senso, slegato da quella che potremmo definire "vita reale". Questa tipologia di approccio alla sceneggiatura ha permesso ai developer di affondare l’intera vicenda in un’aria di epicità costante, alimentata dalla facilità con cui sarà possibile immedesimarsi nei fatti narrati. A prescindere da questi elementi, Dragon Age: Origins si sviluppa, in circa 45 ore di gioco, con una sequenza di eventi tipica dei prodotti Bioware. La storia è strutturata in modo molto simile a quella di Mass Effect, tanto che, se in quest’ultimo dovevamo esplorare tre distinti pianeti, nel Ferelden saremo chiamati a riunire un esercito con l’aiuto di vari popoli dalle caratteristiche differenti, raggiungendo, appunto, le loro zone di origine ed entrando in aree estranee agli umani. Completare questi "pilastri" della campagna sbloccherà le sequenze finali, pesantemente influenzate dalle vostre scelte precedenti, dalle origini e dal comportamento del personaggio principale.

Le prime note dolenti di un prodotto altrimenti perfetto arrivano nel momento in cui si impugna il joypad e si muovono i primi passi. Il gameplay di Origins era stato pensato appositamente per gli utenti PC, dando la possibilità di controllare i quattro personaggi del party e con una visuale dall’alto tipica di uno strategico. L’adattamento alle console ha cambiato questo status; pur lasciandone fondamentalmente intatta la base, la softco. americana ne ha trasformato le meccaniche in quelle più consone ad un action-RPG. Questa decisione ha creato nell’insieme non pochi problemi, trasportandosi numerosi bug, attualmente irrisolti, che minano un consistente numero di situazioni. Considerando che, durante un combattimento, è possibile controllare solo un personaggio alla volta, il comportamento degli altri sarà lasciato all’IA che agirà in base alle regole da noi stabilite  nell’apposito menù. Un’impostazione come questa limita le possibilità tattiche della battaglia, lasciando ai più pignoli, per ore, il compito di pensare a quali abilità sarebbe meglio usare durante uno scontro. Come se non bastasse, oltre agli svantaggi "naturali" che l’adozione di tale sistema comporta, sembra che l’intelligenza artificiale interferisca coi comandi dati dal giocatore; non sarà raro vedere il protagonista che vaga senza meta nonostante gli abbiamo chiesto di ingaggiare un bersaglio, diventando vulnerabile agli attacchi del nemico senza motivo alcuno.

[img alt='La forza di alcuni boss metterà spalle al muro gli immancabili lupi solitari: sarà necessario collaborare col party per portare a casa la pelle.']/immagini/Giochi/category1903/picture109841.aspx[/img]

Scesi a patti coi tipici sintomi di un porting frettoloso, Dragon Age diventa una produzione "classica", indirizzato da quegli standard che, in passato, è stata proprio Bioware a dettare. I personaggi saranno guidati dalle abilità a seconda della classe di appartenenza e ogni membro del party ricoprirà una carica importante, strategicamente studiata per riempire i vuoti di abilità dei compagni. Il tipo di approccio che si vuole utilizzare per completare il gioco, quindi, interessa più la sfera idealogica dell’utente, che non quella fisica. La mancanza di un sistema buono/cattivo e di un albero di skill "chiuso" lascia la completa libertà di interpretazione del protagonista, con scelte dettate più dal "cuore" che dal bisogno. Al di là delle quattro specializzazioni disponibili per ogni classe, la distribuzione dei punti, per abilità e statistiche, sarà affidata alla volontà del giocatore e, in questo senso, il gioco non farà nessuna forzatura, permettendovi di intraprendere una strada, per poi cambiare idea senza influire sul resto dell’avventura. Se, per esempio, a metà del viaggio, vorrete passare dalle doppie armi a quelle pesanti a due mani, dovrete semplicemente concentrare la crescita sulla diversa tipologia di abilità disponibili, cambiando stile in base alle vostre preferenze. Volendo evitare inutili esagerazioni, quindi, si lascia così il giocatore in un controllato realismo, ove imparare nuove "strade" senza dover ricominciare la partita, a patto che ci si muova, comunque, all’interno della propria classe di appartenenza. In termini prettamente ludici, la differenza fra sconfitta e vittoria dipenderà dalle armi e dalle armature che porterete con voi. Oltre a un set di "ferri" classico e, per certi versi, banale, Dragon Age dispone di pezzi speciali, strettamente legati alla storia principale. Ognuna di queste parti dell’equipaggiamento, una volta indossata, modificherà la variabile di danno inferto/subito a seconda del nemico e del "tiro di dado" ottenuto. Per questo motivo, quindi, saràfavorita l’esplorazione delle varie ambientazioni, attraverso l’uso equilibrato dei quattro personaggi scelti, al fine di trovare l’equipaggiamento definitivo. A supporto di ciò, inoltre, vi sono le numerosissime quest secondarie, ottenibili sia attraverso i vari "datori di lavoro", sia parlando con la grande quantità di NPC sparsi per Ferelden. La struttura del gameplay si presta molto alla rigiocabilità, richiedendo almeno tre partite differenti per vivere la maggior parte di quello che il prodotto ha da offrire – non tanto per luoghi visitati, quanto per la varietà delle situazioni proposte.

Sul versante tecnico, non possiamo che complimentarci con Bioware per la cura generale con cui il lavoro è stato portato avanti. Il prodotto gira grazie a Eclipse, un motore grafico proprietario  sviluppato appositamente per i giochi di ruolo presenti e futuri. La qualità dell’engine risulta in un’ottima resa grafica e in un comparto d’illuminazione efficiente, anche se lievemente inferiore alla media delle produzioni di questo calibro. Le texture, ben definite, si fanno ammirare per la maniacale attenzione prestata ad alcuni dettagli, come, per esempio, le rune naniche incastonate nella pietra. Stesso discorso per i modelli, dotati di ottime proporzioni e di una mole poligonale notevole, anche se dobbiamo segnalare un certo riciclo nelle fattezze degli NPC, sezione in cui, evidentemente, il developer ha ritenuto che non fosse necessario sfruttare al massimo l’editor di personaggi. Un grande lavoro è stato svolto anche sugli effetti particellari, specie su neve e fuoco, tanto reali da sembrare quasi "palpabili".

[img alt='In quanto a violenza, Dragon Age non si tira mai indietro. Anzi, versa litri di sangue e contenuti... per adulti.']/immagini/Giochi/category1903/picture109842.aspx[/img]

Il comparto audio, invece, gode di un doppiaggio praticamente perfetto, accompagnato da musiche molto evocative, ispirate a produzioni del calibro de "Il Signore degli Anelli". Ogni personaggio avrà un suo carattere e questo comporterà una differenziazione notevole delle voci, tutte in inglese nella versione da noi provata, che risultano sempre impeccabili per espressività ed enfasi.

In conclusione, soltanto gioia nei confronti di questo Dragon Age: Origins. Bioware ha svolto, ancora una volta, un lavoro eccellente su sceneggiatura e ambientazione, andando, purtroppo, a peccare sul gameplay per via di una trasposizione "consolara" troppo rapida. Nonostante i piccoli difetti derivanti da questa scelta, probabilmente imputabile alle pressioni del publisher, il Ferelden resta un mondo magico e speciale, arricchito da una vitalità inesistente in altri giochi del genere e spinto dalla grande cura per i dettagli che, da sempre, è il marchio di fabbrica dei ragazzi di Edmonton.

Valutazione Generale

Presentazione: 9
Sangue e oscurità si fondono perfettamente con lo stile medievale dei menù, ricordandovi ogni istante che la Prole Oscura incombe sul mondo libero.

Grafica: 8
Ottima realizzazione dei modelli e degli effetti particellari. L’impianto di illuminazione è notevole, ma sotto la media delle produzioni dello stesso calibro. Alcune imperfezioni non permettono all’engine Eclipse di raggiungere il voto massimo.

Sonoro: 9
Doppiaggio praticamente perfetto, dotato di espressione ed enfasi. Musiche sontuose ed evocative, chiaramente ispirate a produzioni come "Il Signore degli anelli".

Gameplay: 8.5
Le meccaniche di gioco ricordano molto da vicino KOTOR e Mass effect. La quantità, non esagerata, di set di armature e alcuni bug, imputabili a un adattamento frettoloso, impediscono a Dragon Age di ottenere il massimo possibile, da se stesso.

Longevità: 9
La gran quantità di ambientazioni, unita all’esagerato numero di missioni secondarie, garantisce almeno 45 ore per la prima partita, più una rigiocabilità che vi trasporterà facilmente al terzo personaggio.

Multiplayer: Assente
Dragon Age: Origins è studiato appositamente per l’esperienza single-player.

Voto complessivo: 8.3

Il nuovo fantasy Bioware è davvero un ritorno alle origini e, sicuramente, siamo d’accordo nel definirlo il seguito spirituale di Baldur’s Gate. Siamo convinti che un mese di sviluppo in più avrebbe giovato ma, tutto sommato, non crediamo il mercato offra attualmente di meglio.

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