Alan Wake's American Nightmare - XBLA House Party

Il romanzo si fa racconto, Alan Wake’s American Nightmare

di • 23 febbraio 2012 • RecensioneCommenti (0)1869

Alan Wake è uno di quei personaggi potenzialmente immortali, riutilizzabili, ri-modellabili, ma da maneggiare con cura. Quando fece la sua prima apparizione, nel 2010, era impossibile non notarlo, nella sua inconfondibile giacca, con il cappuccio di una felpa che faceva capolino dietro il collo, quasi volesse simboleggiare l’estro dello scrittore di successo che tenta a tutti i costi di uscire dal guscio di una persona tutto sommato insicura. Alan Wake, quell’esclusiva Xbox 360 da pochi giorni disponibile anche su PC, è uno dei migliori giochi di questa generazione. Anche lui un po’ insicuro, come il suo protagonista, fece luce nel catalogo Microsoft portando con sé la maestria degli autori di Max Payne, la genialità di Sam Lake, la bravura degli artisti Remedy.

La torcia ha mantenuto intatto il suo fascino

Un personaggio immortale, dicevo, nato vecchio; nato, cioè, con quella personalità che in genere si acquisisce col tempo e che invece lui ha subito messo a disposizione dei videogiocatori. È proprio grazie a questo carattere che Alan Wake si è potuto prestare con nonchalance a quello che, in un apparente paradosso, mi piace definire come il primo adattamento videoludico di un videogioco. Da opera di finzione che sembrava uscita dai romanzi di Stephen King, adattata e disadattata nella struttura di un serial televisivo, oggi si trasforma in un racconto breve da vivere tutto d’un fiato. Da videogioco retail a Live Arcade: un passo breve ma difficile. Non erano ammessi errori. Una sfida che, forse, solo Remedy avrebbe potuto affrontare con cotanta decisione e maturità.

Gli sviluppatori finlandesi non si sono fatti scoraggiare dai limiti imposti dalla piattaforma digitale in cui il nuovo Alan Wake sarebbe dovuto approdare (per scelta propria o altrui non ci è dato saperlo). Piuttosto, li hanno sfruttati a proprio favore, plasmandoli in una nuova esperienza narrativa più vicina, come dicevo, a un racconto breve che a un romanzo. Giocare la storia di Alan Wake’s American Nightmare è stato proprio come leggere uno di quei bellissimi racconti di King, quelli che oggi possiamo trovare in antologie come A volte ritornano, o la più recente Al Crepuscolo. Il poco spazio a disposizione, forse, non ha permesso di avere una grande varietà di ambientazioni; sono tre, e le ripercorrerete per tre volte in una sorta di remake in chiave horror de Il giorno della marmotta. Come si dice in gergo, si fa molto back-tracking, si ritorna più volte nelle stesse location, ma… altro giro altra corsa, ogni volta sarà diverso. Alan dovrà affrontare nemici diversi, situazioni diverse, ritmi diversi. La ripetitività in cui era facile incappare è stata scacciata via non con il fascio di luce di una torcia, ma con l’eleganza di una penna, quella di Sam Lake. Eccola, la maestria di Remedy.

È stato bello tornare a vestire i panni di Alan, sebbene non fossero esattamente gli stessi della prima volta. Abbandonata la giacca col cappuccio, il nostro si presenta oggi con una camicia di flanella a quadri, rigorosamente aperta, che si adatta alla perfezione al contesto in cui le nuove vicende prendono – letteralmente – forma. Un deserto, quello dell’Arizona, sostituisce la fitta e buia foresta del gioco originale e propone tonalità più calde, ambienti più aperti, ma mantiene intatta l’atmosfera inquietante di cui Alan Wake ha bisogno per essere Alan Wake. Certo, si vede (e si sente) il tocco tarantiniano più volte sottolineato nei mesi scorsi anche dalla stessa Remedy, ma non stona; anzi, è perfetto per il tipo di esperienza che i finlandesi ci propongono. Ci sono nemici più grandi e inquietanti, come quelli in grado di trasformarsi in uno stormo di uccelli neri (ve li ricordate?) e di riassumere le loro sembianze vicino a noi, molto spesso dietro di noi; ci sono quelli che quando li illumini si dividono in due e si moltiplicano fin quasi a diventare un esercito.

La camicia a quadri è sintomo di una nuova personalità per Alan

E poi c’è Mr. Scratch, il signor Graffio. L’oscurità, nemica giurata della torcia di Alan, che per la prima volta prende le sembianze di un vero e proprio antagonista. E dello stesso Alan, di cui è sosia e nemesi. Un tema interessante, quello della lotta con sé stessi, che va ad aggiungersi alla metafora dello scrittore alla ricerca di ispirazione; uno scrittore che finisce ancora una volta per usare le proprie doti drammaturgiche per modificare situazioni, eventi e circostanze, in un mondo fittizio nato dalla sua stessa mente, e che ci fa riflettere su questioni importanti come il destino e il libero arbitrio. Questa volta, il contesto è quello del “serial-nel-serial” Night Springs, di cui Alan fu autore agli inizi della sua carriera e che, da videogiocatori, avevamo avuto modo di seguire in pillole nei televisori disseminati all’interno del mondo di gioco di Alan Wake; televisori che qui ritroviamo, ma per servire gli scopi malvagi del signor Graffio: i suoi videomessaggi, sullo stile del trailer rilasciato qualche giorno prima dell’uscita del gioco, sono davvero la ciliegina sulla torta. Notevole, oltretutto, l’interpretazione di Ilkka Villi, impegnato non solo nei monologhi di Mr. Scratch, ma anche nei filmati live action dove interpreta Alan e che sostituiscono le classiche cut-scene.

La storia è collegata in modo molto stretto a quella del titolo del 2010, i richiami sono tanti ed evidenti, e in un certo senso dispiace per l’assenza di un re-cap iniziale: di sicuro, avrebbe fatto comodo a chi si avvicina oggi per la prima volta al personaggio ideato da Sam Lake. Per fortuna, ritroviamo anche i manoscritti, utili come sempre ad immergersi meglio nella storia e nei personaggi, ma non solo. Stavolta, collezionarli sarà funzionale al gameplay: sarà richiesto un certo numero di manoscritti per accedere a nuove armi lungo il percorso che separa Alan dal signor Graffio, ma anche per aprire gli stessi bauli nelle mappe della modalità Arcade. Ancora una volta, e con il solito gioco di simbolismi, Remedy usa le parole come ponte tra due mondi, come un fil rouge che collega il videogioco moderno (la modalità storia) al classico da sala. La modalità Arcade, appunto.

Vera novità di questo debutto in digital delivery della serie, è l’aspetto che più dà senso alla mia definizione di adattamento videoludico di un videogioco. Si presenta dotata di moltiplicatore combo, in alto a destra, e tanto basta per capire che si tratta di un’esperienza del tutto nuova per Alan: mappe (peraltro bellissime) in cui è possibile girovagare liberamente per 10 minuti e in cui sarete chiamati a resistere alle ondate di Posseduti che sbucheranno da ogni dove dal tramonto all’alba, in un crescendo di tensione. Fight ’til Dawn – questo il nome dato alla modalità – non è una semplice rivisitazione dell’Orda di Gears of War. I Posseduti sono tutt’altra cosa, Alan non è Marcus Fenix; l’esperienza è completamente diversa e sebbene non nasconda di aver nutrito delle perplessità prima di provarla, oggi devo riconoscerne la riuscita.

Oggi, devo riconoscere la riuscita di Alan Wake’s American Nightmare. Di un progetto che nasce e vive come secondario, come uno spin-off, ma che non riesce a nascondere – anzi, mette ancor più in luce – le doti narrative di Remedy, il savoir-faire di un’azienda, passatemi il termine, cazzuta. Remedy ci sa fare e ne dà prova anche in queste piccole, grandi cose. Anche nei Live Arcade.


Sviluppato da Remedy e pubblicato da Microsoft Game Studios, Alan Wake’s American Nightmare è disponibile dal 22 febbraio 2012 sul Marketplace di Xbox Live, al costo di 1200 Microsoft Points, all’interno della collana Xbox Live Arcade House Party.

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