Con la next-gen oltre a tante belle cose ci siamo portati dietro una delle croci dell’industria videoludica degli ultimi anni, gli aggiornamenti. Ormai siamo abituati a considerare gli “aggiornamenti del day one” una routine necessaria: tant’è che vengono programmati mesi e mesi in anticipo rispetto all’uscita di una console o un videogioco, ma una volta non era così.
Senza voler sfoderare nostalgie canaglie e lacrimucce di sorta, c’era un periodo in cui i prodotti dell’industria videoludica – periferiche o software – erano curati e pronti per essere consumati sin dal primo giorno, al massimo veniva introdotta una patch nella storia del prodotto in questione, ma era definitiva e non generava ulteriori problemi. Un discorso del genere potrà essere interpretato come un’inutile lamentela da “old-school gamer” trita e ritrita, ma in realtà è sintomo di una malattia nell’industria, un malanno che può essere riassunto nel famoso adagio “la fretta è cattiva consigliera”.
Volendo portare degli esempi ce n’è uno molto recente riguardante l’atteso inFamous: Second Son per Playstation 4, titolo di punta della console Sony destinato a dare una ventata d’aria fresca alla sua line-up. A prescindere dalla qualità o meno del titolo che non mettiamo in dubbio in questo frangente, già dal day one sarà necessario scaricare un aggiornamento di 350 MB che oltre ad introdurre le necessarie feature delle limited edition di sorta – che anche qui… – aggiorna anche il codice vero e proprio del titolo modificando il bilanciamento della difficoltà, aggiustando il tiro sui boss fight ed eliminando bug e glitch vari.
Ora, chiunque sia un pochino smaliziato penserà: ma non sono cose che andrebbero fatte in fase di sviluppo? Già. Ma come si dice “the show must go on” e ci sono date e scadenze da rispettare, soprattutto nei primi periodi di una console e soprattutto per titoli molto attesi come inFamous: Second Son, appunto. Se poi ci aggiungiamo le possibilità fornite dall’avanzamento tecnologico – di certo all’epoca del Nintendo 64 non era possibile far scaricare aggiornamenti – è facile capire come sia appetibile per gli sviluppatori concedersi il lusso di un “ci pensiamo dopo”.
Un’altra software house che ci ha da subito abituato a stare al passo con gli aggiornamenti è Ubisoft Montréal. La serie di Assassin’s Creed non è nuova a bug e glitch vari, tra cui alcuni in grado di compromettere pesantemente l’esperienza di gioco, errori a cui spesso non viene posto rimedio neanche dopo diversi aggiornamenti. Black Flag ovviamente non è stato esente dall’avere il suo aggiornamento del day one, destinato a risolvere problemi di un certo peso – tra cui improvvisi crash del gioco – tra multiplayer e single player, tra cui l’esilarante glitch della nave Jackdaw che emerge dalle acque in barba ad ogni legge della fisica e della natura.
Ad oggi scorrendo tra il software delle console si fa molta fatica a trovare un gioco che esca pulito al day one senza un aggiornamento anche fugace che sia. Ormai è l’abitudine e dobbiamo farci il callo ma alcuni casi continuano a stupire, come il mega aggiornamento di Dead Rising 3.
Ad un paio di mesi dall’uscita contestualmente ad Xbox One, Dead Rising 3 ha beneficiato di un aggiornamento di ben 13 GB – cifra di un certo peso per le connessioni italiane – che sommato al precedente aggiornamento da 5 GB va a formare il peso del gioco originale. È come aver installato il gioco di nuovo per intero. Viene spontaneo chiedersi cosa ci sia stato effettivamente in quei 13 GB rilasciati una manciata di mesi dall’uscita, un intero rebuild del gioco? Pensate a chi oggi compra Xbox One e Dead Rising 3, dando per scontato che abbia una connessione ad internet ovviamente, quanto tempo dovrà perdere prima di poter iniziare a giocare veramente tra aggiornamenti software e console – da non sottovalutare – calibrazioni di Kinect ed impostazioni iniziali? Molto, forse troppo.
La storia ci insegna che elementi di questo genere non possono che peggiorare – qualcuno ha detto DLC? – i giochi sono sempre più complessi e pieni di dettagli, cosa che a noi giocatori e all’industria fa piacere ma agli addetti ai lavori fa sudare le proverbiali sette camicie. Sarebbe ingiusto prendersela con chi lavora davanti ad un PC per ore ed ore per il nostro intrattenimento, la colpa di tutto questo non è degli sviluppatori, o almeno non del tutto.
Se vogliamo incolpare qualcuno il dito va puntato senz’altro contro i publisher, fanno promesse e annunciano date spesso senza consultare chi poi le promesse e i desideri di cui sopra deve realizzarli, con le evidenti conseguenze.
E se proprio vogliamo essere onesti, il dito lo dovremmo puntare anche allo specchio ogni tanto. Perché a chi sono rivolte le promesse sempre più esaltanti dei publisher se non a noi, esigente pubblico che ad ogni anno e ad ogni nuova generazione chiede sempre di più?