Non è mai bello fare accostamenti tra titoli. Lo trovo un procedimento retorico antipatico, quasi come le pubblicità comparative con marche farlocche o vere che siano. Concedetemi, però, un’eccezione per questa nuova incursione nel mondo di The Banner Saga; fatelo, vi prego, soprattutto perché quest’ultimo proviene dalle stesse mani che hanno sagacemente fondato l’indie Stoic Games. Un trio di sviluppatori indipendenti che ha messo in piedi un titolo fortemente settoriale, da amare od odiare a seconda delle proprie inclinazioni.
Perché amarlo – Un titolo del genere, del genere degli strategici a turni nella fattispecie, sa dare grandissime soddisfazioni se padroneggiato a dovere. Destreggiarsi in un mare magnum di impostazioni, schieramenti, mosse più o meno dispendiose in termini di “will” e poi vedersi vincitori sul campo di battaglia è una sensazione splendida. Una sensazione che, sì, ritroverete in The Banner Saga. A questo, più che la storia – vittima, com’è “giusto” che sia di un paio di cliché videoludici – sommate l’atmosfera: un microcosmo, altro che mondo, ritagliato e strappato con sorprendente padronanza della materia all’universo vichingo. Inoltre, se avete gli occhi giusti per godere di uno spettacolo artistico di prim’ordine, riconoscerete nel lavoro di Stoic un’autentica rarità per un mondo – non soltanto quello dei videogiochi – che rema fastidiosamente verso l’uniformazione visiva.
Perché odiarlo – Un idillio del genere ci condurrebbe dritti – se ancora fossimo schiavi dei voti – al perfect score; eppure The Banner Saga non è da dieci, a mio modesto avviso, perché di troppi piccoli caveat si sta per fregiare questo articolo. Ad esempio: la mancanza di sottotitoli nelle cut-scene. Ancora: nessun linguaggio supportato all’infuori dell’Inglese. E ancora: tutorial troppo lunghi e intricati nelle fasi iniziali, quando, alla fine, vi ritroverete a ricorrere – sbagliando? – ad un set nemmeno troppo ampio di mosse. Nulla che a mio parere non possa essere già limato con una patch o, forse con un briciolo in più di realismo, nei già annunciati sequel.
Su quale campo, vi starete allora chiedendo, intendo confrontare The Banner Saga con Dragon Age II? Domanda lecita, specie se considerate che, da buon e rifinito titolo tripla-A, il secondo episodio della serie di BioWare non presenta nessuno dei suddetti difetti.
Uno degli elementi che ha sollevato le discussioni più interessanti in rete sul titolo di Stoic Games è l’assenza dell’esplorazione. La mappa di TBS altro non è che un quadro, pur carino, statico della città in cui il gioco è ambientato. Scelta anche coraggiosa, se vogliamo, di un team che per una questione tecnica, economica o di stile ha optato per un taglio netto sulle meccaniche del gameplay. Non siamo di fronte ad un RPG puro, questo è vero, e tale valutazione ci dà la misura di quanto a Stoic piacciano sì le contaminazioni del genere ruolistico, ma all’interno di un contesto delineato ed estremamente ingabbiato. Avranno fatto bene i developer? Non lo sapremo mai, fin quando, almeno, non si concretizzerà una declinazione GDR del titolo in analisi.
Quel che possiamo sapere fin da subito, invece, è che The Banner Saga regge meglio l’assenza dell’esplorazione rispetto a Dragon Age II – precisando che tiro in ballo questa produzione perché ha visto coinvolti gli Alex Thomas, Arnie Jorgensen e John Watson costituenti della neonata software house con la passione per la mitologia vichinga. La regge meglio perché arriva sul mercato con un carico di pressioni e aspettative infinitesimale rispetto al secondo episodio della saga di Dragon Age. Dare e poi togliere, si sa, raramente porta apprezzamenti di critica e pubblico, per cui presentarsi con una riformulazione imbellettata della giocabilità non diede a BioWare il giusto riconoscimento.
Va inoltre ricordato, ed è forse questo il punto focale del nostro discorso, che le meccaniche da strategico a turni attraggono l’attenzione dell’utente molto più dei combattimenti in tempo reale; essi infatti sono meta e viaggio insieme, non il “semplice” crocevia per la cut-scene successiva, lo sblocco di una particolare abilità o la scoperta di una location mai vista.
“Mai vista”. Ecco. The Banner Saga difficilmente vi darà la soddisfazione dell’inedito, perché è così, mette tutte le carte sul tavolo e lo fa da subito. Che vi piaccia o meno: la purezza degli indie sta anche in questo.
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