Dei VGX Awards 2013, con ogni probabilità, resterà alla storia più quanto non è stato annunciato che la mole di presentazioni “promesse” e mai pervenute. Tra queste, come avrete letto nel nostro articolo sull’argomento, figura la bufala – passatemi il termine molto rustico – di Fallout 4: un gioco che ufficialmente non esiste, che forse è in sviluppo, ma che per tanto, troppo tempo abbiamo creduto tutti fosse a portata di mano.
Come testimonia l’ammissione dell’artefice di thesurvivor2299.com, quel conto alla rovescia, quel continuo teasing che ha fatto impazzire i newser di mezzo mondo… tutto quello che era circolato intorno al nuovo episodio della serie RPG di Bethesda, insomma, era falso. Ma sarebbe troppo semplice bollare l’iniziativa di un facoltoso singolo – l’anonimo che ha speso $900 per il fake, grazie al quale si è portato a casa diverse minacce di morte – come il giochino di un ricco annoiato o di un nerd a caccia di attenzione.
Le cause di un comportamento simile vanno ricercate, piuttosto, in quello dei protagonisti dell’industria videoludica. L’atteggiamento iper-protettivo, in questo caso, dello studio del Maryland autore anche di The Elder Scrolls, ha molteplici sfaccettature, l’una più irritante dell’altra. In primis mettiamoci quella legata al business: un produttore ha tutta la libertà di mostrare il frutto del suo lavoro al momento giusto o comunque nell’occasione che ritiene più appropriata; senza tener conto del percorso che tale lavoro ha intrapreso, tra limiti umani connessi alla costituzione dello staff e limiti tecnici legati ad engine, licenze o loro utilizzo. Sfortunatamente finiscono così in secondo piano altre componenti che di secondo piano non sono affatto, come la gelosia quasi infantile di determinati sviluppatori nei confronti dei loro titoli, che spesso e volentieri finiscono per mostrarsi nelle ultime fasi della loro “crescita”. Una mossa errata dal punto di vista della comunicazione e che solo pochi, non mancando di suscitare una certa sorpresa quanto a impreparazione, possono permettersi – il caso più eclatante è quello di GTA V, con Rockstar giunta persino a scusarsi coi suoi fan.
E le orde di giocatori desiderosi di saperne di più sullo sviluppo del proprio titolo preferito? Queste si ritrovano puntualmente a scontrarsi con un dilemma paradossale: da un lato hanno le saghe annuali e interminabili come Call of Duty, Assassin’s Creed, Battlefield e via discorrendo; dall’altro, invece, quei franchise che si fanno vedere col contagocce nei negozi. Lamentandosi dell’uno vengono messi di fronte all’altro, e continuamente viceversa, come un cane che si morde la coda.
Dal momento che la verità sta sempre nel mezzo, e sarebbe banale ricordarvelo anche in questa occasione, la strada più intelligente sembra averla individuata Ubisoft: più team al lavoro sugli stessi, attesissimi prodotti. Il processo non è stato per niente indolore con Assassin’s Creed, riuscito soltanto con Black Flag – tutt’altro che senza gli scetticismi di chi si era stufato – a riabilitare la logica della release ogni dodici mesi, dopo interi capitoli insipidi per gran parte della sua stessa fanbase. Non un successo della tecnologia, ma almeno un buon checkpoint per i progetti futuri (statene certi) già avviati.
“$900 sono nulla per me”, diceva il pallonaro di Fallout 4: sono sicuro che nessuno di voi avrà la faccia tosta di accodarsi a questo ragionamento e opterà per un acquisto, quantomeno videoludico, più assennato. E se il prossimo sarà il nuovo capitolo del franchise di Bethesda, che non ci faccia aspettare troppo…