Si è fatto tanto attendere ma, lo scorso mese di febbraio, finalmente ce l’ha fatta: Metal Gear Rising: Revengeance è nei negozi di tutt’Italia, pronto a colpire (stavolta) non di fino ma con la prepotenza e la forza fisica di un inedito cyborg Raiden.
Ci ho giocato a lungo, più o meno per lo stesso periodo in cui l’ho aspettato (scherzo: se questa frase fosse vera, sarei stato per anni davanti alla console…), e sono giunto a diverse conclusioni che, sì, mi portano a ritenere in ogni caso Revengeance un prodotto d’alta qualità, ma anche un gioco che Platinum Games avrebbe potuto rifinire con una maggiore precisione.
Non siamo, la faccio breve, ai fasti di Bayonetta. Diversamente dall’acclamato hack ‘n slash, Metal Gear Rising: Revengeance semplicemente non è frenetico e, anzi, si presta persino ad alcune (rare) fasi di esplorazione in ambienti (quasi) aperti, oltre che ad approcci stealth con cui Kojima Productions ha probabilmente chiesto di omaggiare la serie originale. Perché non è frenetico? Il numero di personaggi contemporaneamente sullo schermo è piuttosto basso, complice la volontà di far provare ai giocatori la modalità Blade e di darle una maggiore importanza, e ritmo e difficoltà ne risentono in modo drammatico.
Va detto, comunque, che non sentirete mai la mancanza di nemici perché avrete a che fare con un sistema di parata così complesso e poco funzionale da dover sempre tenere sott’occhio la barra dell’energia – e pregare che, almeno la prossima volta, la difesa di Raiden funzioni. Il meccanismo è teoricamente semplice: per attivarlo basta (basterebbe) premere il tasto X dell’attacco in concomitanza col colpo del nemico e tenendo la leva analogica sinistra orientata verso di esso. Niente di impossibile, sulla carta, ma che nel gioco si tramuta in una sorta di inferno videoludico al quale dovrete assolutamente fare il callo se vorrete portare a termine la vostra avventura. In caso contrario, vi ritroverete a consumare tutte le vostre “razioni” ad ogni ondata di avversari più temibili, e questo non sarà certamente d’aiuto.
Penerete molto per la visuale: il primo Metal Gear action fa molto fatica a gestirla negli spazi stretti, di cui il gioco è naturalmente popolatissimo, ed è in più di un caso complicato persino eseguire le combo basilari. Il locking risolve solo parzialmente questa magagna a mio modo di vedere grave.
Ok, se siete giunti fin qui senza inveire contro il cielo per questo sciupio del talento di Hideo Kojima, potete infilare gli occhiali da sole e la camicia hawaiiana: il bello inizia adesso.
Confesso il mio amore indiscutibile e indiscusso per Raiden: sarà che da Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots fa tanto Gray Fox, ma mi piace e mi piace parecchio. Rispetto al secondo episodio della serie principale, dove aveva comunque il suo perché, qui ha carisma da vendere – fatevelo bastare perché ci sarà da chiudere un occhio sulla genericità della storia, di contro impreziosita da alcuni boss notevolmente ispirati – e una realizzazione tecnica/caratteriale meticolosa; non mancano i riferimenti al suo passato burrascoso e, anche se avrei preferito vedere inserito il plot tra MGS2 e MGS4, alcuni collegamenti all’evoluzione subita con lo sviluppo del franchise kojimiano.
Brevemente su grafica e regia: se l’ormai old-gen si fosse sempre attestata su questi livelli, PS4 e Xbox 720 avrebbero potuto restare in garage per ancora diversi anni. Un plauso al motore grafico preparato e potenziato negli anni dallo studio del buon Hideo, e sapientemente messo in movimento dai creatori di Mad World. Quanto allo stile cinematografico, ce n’è parecchio, a volte perfino troppo, e i fan della saga avranno di che leccarsi i baffi durante le (brevi) cut-scene.
Se gli standard qualitativi davvero importanti – regia, scene d’intermezzo, carisma dei protagonisti – hanno incontrato il raffinato citazionismo di telecamere di sorveglianza, codec, stati di allerta non solo estetici e scatoloni, il “nuovo” va per la sua strada e lo fa con un più che discreto successo. Riconosciamolo: la modalità Blade è alla base del concept di Revengeance (lo era già quando il gioco si chiamava Metal Gear Solid: Rising) e tutto il resto è una specie di grande orpello videoludico. Beh, io ci sto: la meccanica funziona bene e non è fine a sé stessa.
Non solo si può tagliare praticamente qualunque cosa all’interno delle location, ma lo si deve fare per sopravvivere in mancanza di scorte di razioni – Raiden si alimenta delle batterie celate dai nemici – e per sbloccare determinate porzioni di mappa, fondamentali per procedere nella storia. Quindi, come potete vedere, Blade è non solo dilettevole ma pure utile e questo basta a giustificarne il ruolo centrale negli ingranaggi della produzione di Platinum Games.
Metal Gear Rising: Revengeance è dunque una prova di fedeltà estrema nei confronti di Hideo Kojima: se lo acquisterete a prezzo pieno, chiudendo così un occhio sugli orrori della visuale e vendendo l’anima al diavolo per studiare il sistema di difesa, sarete qualcosa in più di semplici fan.
Se non lo farete, perché a vostro parere i due-tre contro strutturali superano i molti pro, ed attenderete il primo calo di prezzo, sarete semplicemente dei videogiocatori giudiziosi.
Sviluppato da Platinum Games/Kojima Productions e pubblicato da Konami, Metal Gear Rising: Revengeance è disponibile dal 22 febbraio per PS3 e Xbox 360.