Il rumor di ieri sulla cancellazione della serie Dead Space non ha fatto altro che rafforzare una mia datata convinzione: dopo essersi impossessata della politica, la finanza è entrata anche nel mondo dei videogiochi. E con risultati tutt’altro che gradevoli.
Perché sì, smentite a parte, è indubbio che Visceral Games ed Electronic Arts si siederanno a un tavolo – ammesso che non l’abbiano già fatto – per capire cosa sia andato storto con Dead Space 3 e quali margini di miglioramento ci siano in termini puramente commerciali.
In questo processo, troppo alla luce del sole negli anni a cavallo tra questa e la prossima generazione di console, gioca un ruolo fondamentale la finanza. O meglio, lo gioca un manipolo di investitori incompetenti che non hanno alcuni titolo per parlare di videogiochi ma lo fanno perché, dopotutto, sono a capo dei colossi che li producono. Tirano i fili delle loro marionette – i poveri sviluppatori – che sono costretti, con l’unica alternativa di una rischiosa indipendenza, a seguire i loro sciagurati dettami. Ed è così che ci ritroviamo con un horror (più di uno, a dirla tutta) snaturato da inspiegabili elementi di cooperazione o con una serie munta fino alla nausea dei giocatori e alla sua cancellazione.
La fine di Guitar Hero non ha insegnato niente, è lampante. Non ha insegnato niente ad Electronic Arts, che non solo ha quasi lanciato un Dead Space all’anno ma l’ha pure completamente stravolto, miope nel non vedere le ragioni del suo successo e puntando su componenti che, anziché garantirgli una stabilità commerciale, l’hanno affossato. Ma terminato – nel senso più schwarzeneggeriano della parola – un franchise, il rischio maggiore è che altri facciano questa stessa fine. Il pensiero va naturalmente a Mass Effect, che con il terzo capitolo si è già avviato sul viale del tramonto.
Non ha insegnato niente, la fine di Guitar Hero, neppure ad Ubisoft. Il CEO Yves Guillemot aveva promesso un anno di pausa per Assassin’s Creed e, complice l’annuncio di Watch Dogs, c’avevo pure creduto. Capirete da soli che la presentazione di Assassin’s Creed IV: Black Flag mi ha profondamente turbato e sfiduciato nei confronti di una saga per la quale non provo particolare simpatica ma che a mio parere va preservata per alcuni suoi aspetti di unicità – penso alla volontà di esplorare periodi storici molto interessanti ma anche alla piega navale del nuovo capitolo, da valutare ma quantomeno spunto di innovazione. Uscendo con un episodio ogni dodici mesi, svelando un capitolo quando i DLC del precedente sono ancora in sviluppo (lo sono davvero o sono già bell’e pronti? A questo punto mi sorge il dubbio…), non si rischia di stancare il proprio pubblico: è certo che si stanca il proprio pubblico, è logico.
Ad onor del vero, va precisato che, fortuna del publisher francese, Assassin’s Creed appartiene al genere degli action/adventure e che difficilmente questo passerà mai di moda, o avrà flessioni e picchi di popolarità come accade agli horror e ai musicali. Il che consente un margine di manovra più ampio, certo, ma ciò non toglie che soffocare l’utenza martellandola con continue iterazioni dello stesso brand non fa bene a nessuno. Dispiace che simili ragionamenti vengano fatti da Ubisoft, una delle realtà più attive nello sviluppo di IP inedite.
In un simile contesto, paradossalmente per alcuni, è Activision ad uscirne meglio di tutti. Il colosso di Call of Duty non ha mai nascosto la sua natura prettamente finanziaria, precisando in più occasioni che gli “investitori” e i “consumatori” vogliono dei nuovi prodotti all’interno di serie già note; anzi, ha fatto molto discutere per uscite come “quest’anno CoD non andrà bene quanto Black Ops II”, realistiche, veritiere e pertanto poco amiche della Borsa. Buttandola sulla realpolitik, insomma, il colosso guidato da Bobby Kotick ha preparato una strategia lungimirante basata su pochi rischi e una discreta varietà, che ha persino permesso ad un brand oberato dalle release annuali come Call of Duty di sdoppiarsi con un successo senza precedenti nell’industria – mi viene in mente il tentativo fallito di EA con Need for Speed Shift.
Qualcuno ha qualcosa da appuntare sul proprio taccuino: se proprio andiamo nella direzione del business, strada ormai imboccata e “ben” avviata, facciamolo come si deve.