Molto, forse troppo spesso si sente dire dai soliti professoroni bene informati che una della principali cause della pirateria videoludica è da individuare nell’elevato costo del software. Ma è davvero così? Giocare legalmente è sul serio un hobby costoso?
L’argomento è molto spinoso, le cause sono tante e spesso affondano nelle pieghe della crisi economica e nel malcostume e io, oltretutto, forse non sono uno degli analisti più informati, credibili e acculturati che l’industria può fornire. Il mio strumento di analisi principale è infatti lo spannometrico buonsenso, oltre che una decennale esperienza da consumatore.
Cominciamo col dire che la tesi iniziale, dal mio modesto punto di vista, potrebbe essere valida qualora andassimo ad analizzare software professionali, come quelli Adobe o anche alcuni applicativi Microsoft, che possono costare oltre €500 a licenza. Che durano un solo anno. Ecco, io €500 per ritoccare un’immagine o montare un video non li ho. Capisco che voi vi rivolgete alle aziende, ma capisco anche molti piccoli professionisti che non possono investire ogni 365 giorni diverse migliaia di euro per poter avere l’ultima versione di tutti i software utilizzati. Il colosso di Redmond sembra averlo capito, tanto che quest’anno Windows 8 è stato immesso sul mercato a circa €40, togliendo ogni giustificazione morale ai tanti orgogliosi pirati che si incrociano per strada.
Tornando ai videogiochi, possiamo dire che €60-70 per un nuovo gioco console non sono pochi. Assolutamente. E apparirebbero anche di più se pensassimo che lo stesso identico gioco, in una nazione oltretutto più ricca della nostra come gli USA, costa poco più della metà. Mi rifiuto di credere che sia una questione di tassazione, dato che è una situazione comune a tutta l’Europa. O che il medesimo software ma per PC costa mediamente 10-15 euro in meno, nonostante quest’ultimo richieda una maggiore lavorazione per renderlo compatibile a tutte le possibili combinazioni di hardware esistenti sul mercato.
Tutto vero dunque? Secondo me no, per diversi motivi che provo ad illustrarvi. Il primo è che tanto tempo fa, quando andavo in un negozio a comprare l’ultimo videogioco per una console casalinga, non mi chiedevano meno di 110-120 mila lire, con punte di 130.000 lire per Super Street Fighter 2 per Super Nintendo e 140.000 e spicci per Majora’s Mask per l’introvabile Nintendo 64. Cosa vuol dire? Che mentre i prezzi raddoppiavano praticamente ovunque per colpa dell’inflazione o, come direbbero i nonni, a causa dell’Euro, in 20 anni il costo non videogiochi non si è spostato di una virgola, anzi, abbandonando le grandi catene specializzate e rivolgendosi agli shop su internet, si è persino abbassato.
Quella che ancora manca è la fluttuazione dei prezzi, come accade all’estero. In altre parole da noi i giochi usati o vecchi di mesi mantengono imperterriti il prezzo pieno, rimanendo inevitabilmente invenduti. Mi è capitato, infatti, di vedere capolavori del calibro di Homefront, Too Human o Lair ancora prezzati a €60. Capita persino con i giochi Playstation 2.
Fortunatamente rivolgendosi a store internazionali o a quelli nativi delle piattaforme di riferimento (tranne quelli Nintendo, spiace dirlo, per via di prezzi persino più alti di quelli di alcuni negozi fisici) è possibile approfittare di forti sconti, come i saldi di Steam, o iniziative di varia natura come gli Humble Bundle, grazie ai quali portare a casa tanti giochi di qualità a pochissimo prezzo (quello THQ aveva del clamoroso, quattro perle a circa €5!), magari facendo pure beneficenza. Senza considerare i tanti free-to-play (DotA2 e League of Legends) e il crollo dei costi legati al mercato mobile. Senza considerare che grazie a Kickstarter potreste finanziare lo sviluppo dei vostri videogiochi preferiti, giocarli in anteprima, oltretutto risparmiando qualche Euro rispetto a quello che sarà il costo finale. In poche parole, con una connessione ad Internet, nel 2013 è possibile giocare legalmente ad un prezzo irrisorio rispetto al passato. Basta avere pazienza – nessuno vi obbliga a giocare a qualcosa al day one – e stare sempre con le orecchie ben dritte.
Da questo punto di vista appare quasi comprensibile la politica dei DLC che quasi tutte le aziende stanno applicando ai loro prodotti. A parità di unità vendute e quindi di ricavi, le software house hanno meno potere d’acquisto per via dell’inflazione (sempre le nonne ci dicono sempre che 50.000 lire durano il triplo di €50), e magari maggiori spese per il supporto post lancio, come quelli necessari per tenere in piedi i server per gli scontri multiplayer o per sviluppare le patch. Servono dunque introiti per poter finanziare queste operazioni e questi strascichi, e magari finanziare i progetti futuri.
Facciamo bene, dunque a pagare €70 l’ultimo sparatutto in prima persona? No, ma principalmente perché preferiamo essere pigri e comprare il gioco nella catena di negozi dentro il centro commerciale, piuttosto che informarci su dove conviene acquistare e aspettare qualche settimana in più. Perché le proprietà intellettuali sono importanti e vanno rispettate allo stesso modo di quelle fisiche – e ve lo dice uno che vende i propri articoli per quattro noccioline o meno – e così come si aspettano i saldi o promozioni per comprare il telefono dei sogni o il viaggio della vita, bisogna fare lo stesso con i videogiochi.
Soprattutto perché a differenza del cinema, dei libri o di qualsiasi altro bene di consumo, il prezzo dei videogiochi non è oggettivamente aumentato. Sembra banale e un po’ ideologico, ma basta davvero poco per avere la coscienza a posto.
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