La possibilità per gli utenti di finanziare di tasca propria i giochi che vorrebbero comprare, grazie alla nascita di kickstarter.com, ha le parole “innovazione”, “futuro” e “libertà” stampate a caratteri cubitali. La mia opinione è che un servizio come questo segni l’evoluzione del medium, ma allo stesso tempo un cambio di prospettiva potrebbe suggerire un’inversione di rotta, una vera e propria involuzione scaturita da un legame inversamente proporzionale fra la crisi americana dei videogame, nata nei primi anni ottanta, e il modo in cui Nintendo e Activision hanno salvato l’industria in quegli anni.
Che ci crediate o no, è esistito un periodo in cui l’integrazione di DVD, Blu-ray e CD non era altro che un progetto, e i giochi venivano distribuiti su cartucce, cassette e floppy disk.
La profonda crisi scatenatasi in quel periodo, i primi anni ottanta appunto, è dipesa da numerosi fattori. Prima di tutto, ricordiamo che nel 1983 il mercato era inondato di console, fra cui è impossibile non citare: Atari 2600 e 5200, ColecoGemini, ColecoVision, Magnavox Odyssey, Mattel Intellivision e Bally Astrocade. Una presenza così folta di macchine per cui lavorare ha creato una vera e propria corsa al denaro e, in un’epoca in cui i fabbricanti erano anche publisher e distributori, l’ingegneria inversa e lo spionaggio industriale divennero un diffuso standard. Considerando che un ingegnere del software, o uno sviluppatore da “giardino”, dell’epoca poteva facilmente replicare qualsiasi titolo sullo scaffale, si capisce come gli introiti annui dell’industria, in quel periodo, passarono da una promettente cifra di $3 miliardi a soli $100 milioni. Si creò un vero e proprio scenario apocalittico in cui i negozi erano pieni di console e titoli invenduti, sia first che third-party. Gli editori non avevano più la liquidità necessaria a pagare i resi e supportare i venditori, determinando il fallimento dell’intero modello, almeno fino al giorno in cui Nintendo non portò il NES nelle nostre case.
A questo punto i proprietari di un sistema d’intrattenimento furono costretti a studiare un nuovo metodo di licensing e pubblicazione, dove i giochi disponessero delle necessarie garanzie volte a dimostrare la propria natura di AAA. Le cartucce del NES cominciarono ad arrivare nei negozi con un chip di sicurezza, che ne rendeva difficile la copia del codice; in aggiunta, il nuovo modello di pubblicazione della compagnia imponeva agli editori di pagare in anticipo le copie prodotte da Nintendo, addossando al publisher stesso l’eventuale rischio economico derivante da scarse vendite. Un maggiore controllo su sviluppo e produzione è così diventato lo standard su cui l’industria si basa ancora oggi, e grazie al quale si evita un’incessante creazione di console e cloni dalla scarsa appetibilità.
Questa intera storia mi porta a credere che stiamo vivendo un’epoca di involuzione controllata, in cui la nascita di servizi di crowd-funding, come kickstarter.com, dona agli sviluppatori l’opportunità di liberare la propria creatività, viaggiando nel tempo ai giorni in cui avevano fan sparsi per la nazione e un’illimitata fonte di fantasia da cui attingere senza freni. Gli effetti del modello economico AAA sono sotto gli occhi di tutti. Microsoft, Nintendo e Sony sono emerse grazie all’incessante lavoro posto nella fondazione di un nuovo ambiente per l’industria, che si è poi definitivamente trasformato, anche grazie a mille battaglie legali, nel modello profit-oriented che abbiamo oggi.
Esatto, parliamo proprio di introiti e ricavi. Una ricerca effettuata nel 2010 da Ibis Capital, infatti, ha evidenziato come in questi anni sia necessario assicurarsi una ingente quantità di fondi per poter sviluppare un titolo console di media qualità. La cifra è di un minimo di $15 milioni per un titolo Xbox 360, con una vendita minima necessaria di almeno 500.000 copie solo per assicurarsi di finire in pari con i conti. Chiaramente in questo caso non si tiene conto delle perdite di denaro derivanti dagli eventuali contratti di publishing/outsourcing, o di imprevisti nella lavorazione. L’unica opzione, a questo punto, è proprio quella di finire sotto una grande compagnia disposta a finanziare l’opera e accollarsene ogni rischio.
Questo status ha creato un panorama video-ludico concettualmente stagnante, in cui le idee partorite da studios neonati fanno fatica a raggiungere la superficie. Se si necessitano di liquidi per un progetto, si deve anche lavorare a qualcosa che i nostri finanziatori potranno vendere con facilità, con un grosso profitto. Ecco perchè creare un’opera commerciale spesso significa attenersi a meccaniche di gameplay semplici e rodate, sia per il giocatore che per lo sviluppatore. Questo rappresenta l’esatto contrario degli elementi che una nuova IP indipendente potrebbe portare sul tavolo.
Potremmo parlarne per ore, ma la verità è che il COO di Electronic Arts, Peter Moore, durante una recente intervista con Wired ha reso chiarissimo il concetto con queste parole:
“I titoli high-end che atterrano, atterrano bene. Tutto il resto cade dallo strapiombo. Se si guarda all’industria ora, anche se non so quali siano i numeri, si finisce con il rendersi conto che 20 giochi AAA portano l’80% degli introiti totali. Tutto ciò che non rientra in quei 20, 25 giochi diventa difficile da giustificare, e cominci a chiederti perché esista”.
Accollarsi questi rischi, oggi, non è facile. L’industria è piena di validi esempi delle conseguenze legate a cattive vendite e costi di produzione elevati. Basta fermarsi un secondo a riflettere su Homefront. THQ si è imbarcata in un pericoloso viaggio volto a donarci la propria interpretazione di FPS militare moderno. Al lancio il gioco arrivava con una storia veramente interessante. Come giornalista ho apprezzato la freschezza di un comparto narrativo ben studiato, e mi piacerebbe fare ancora una “nuotatina” in quel particolare mondo, ma il gioco ha sofferto di vendite relativamente scarse che hanno costretto gli studios a chiudere, convergendo in un’altra software house. L’IP è stata assegnata a Crytek, che, desumo, vorrà cambiare molto della struttura originale. Oggi, lo vediamo, THQ è stata costretta a dichiarare la bancarotta per salvare il salvabile.
Guardando alla creazione dei videogame sotto questo aspetto, si potrebbe realmente biasimare un publisher per il modo rigido in cui gestisce il modello economico relativo? Non spetta a me rispondere a questa domanda, ma è evidente come l’assenza di finanziamenti a progetti indipendenti e/o innovativi stia minando la capacità di crescita della nuova generazione del gaming. Mentre le console si spostano dall’essere piattaforme per il gaming a centri d’intrattenimento ludico, in senso lato, i piccoli sviluppatori devono trovare un nuovo modo per creare giochi e lasciarci rapire dalle loro idee. Le piattaforme come kickstarter.com sono un luogo in cui quelle idee possono essere mostrate direttamente al consumatore finale ideale, in modo da permettere a quest’ultimo di comprare la propria copia prima ancora che il gioco sia pronto, finanziandolo di conseguenza.
Ecco il perché del termine “involuzione controllata”. Un universo di sviluppatori indipendenti, al lavoro su una moltitudine di titoli, può tornare ad essere una risorsa se inserito in un ambiente controllato, che quindi riporti la lancetta indietro nel tempo fornendo un modello a prova di fallimento, il quale eviti di contagiare ogni settore dell’industria portando a una nuova crisi e, anzi, aiuti quest’ultima a generare nuove idee dal basso, gonfiando un cuscinetto che sta a metà fra le produzioni di alto livello e quelle “casalinghe”. Non a caso, la rinascita di IP come Wasteland, Giana Sisters, Elite, Broken Sword, Carmageddon e Shadowrun è una dimostrazione dell’intenzione dei rispettivi sviluppatori di consegnare ai fan ciò che volevano da tempo, come lo volevano da tempo, e senza la commercializzazione tipica del “vecchio” modello AAA, che le avrebbe inevitabilmente adattate al mercato di riferimento per renderle vendibili, relegandole ad un impietoso oblio dove il restyling fosse impossibile.