La guerra mondiale, la morte, la rinascita. Cosa riserva il futuro alla serie Medal of Honor? Difficile dirlo, specie dopo le critiche piovute al lancio di Warfighter, dato per brevissimo nella sua porzione single-player e poco intenso in quella multiplayer. Un probabile passo falso dopo il reboot che aveva più o meno d’accordo critica e pubblico.
Ma cerchiamo di capire com’è andata esattamente, prima di formulare giudizi affrettati. Danger Close, l’ex EA Los Angeles, ha avuto tutta l’assistenza possibile per realizzare una tripla-A degna di questo nome: il motore Frostbite 2, orgoglio del publisher californiano messo in piedi dalla favolosa DICE; la collaborazione di Criterion, i creatori di Burnout nonché attuali curatori del franchise Need for Speed, per la sezione di guida intitolata non a caso Hot Pursuit; la storyline basata su fatti realmente accaduti, raccontati da soldati che per questo si sono ritrovati nei pasticci coi loro superiori (davvero), e la coinvolgente idea di far difendere a ogni utente – fuorché a quelli italiani – la bandiera del proprio paese nel comparto multigiocatore.
Con premesse del genere, ditemelo voi cosa poteva andare storto.
Mettiamo subito in chiaro un paio di cose. Danger Close non è probabilmente la miglior software house di questo pianeta e tantomeno mi è parsa adatta, a dire la verità anche nel precedente Medal of Honor, a competere con giganti come Battlefield e Call of Duty. Per dire, stimo molto di più Treyarch… e questo la dice lunghissima. In secundis, smettiamola di pensare che l’engine di Battlefield 3 possa trasformare in oro tutto ciò che tocca – la smetta anche e soprattutto EA, che lo tira in ballo non appena c’è da dire “ehi, stiamo facendo un nuovo gioco e sarà fantastico perché useremo il Frostbite 2”.
Non è assolutamente così e, anzi, questo motore grafico ha ancora moltissimo da dimostrare sulle console dell’attuale generazione (ok, sulle next-gen sarà fantastico, ma ora?), tant’è che neanche l’ultimo Battlefield mi aveva convinto su Xbox 360. Per cui, e da qui viene la prima delusione, graficamente siamo lontanucci dalla perfezione che potreste aspettarvi.
Le ambientazioni sono perlopiù scure, pasticciate – ci capirete poco a causa di una “fotografia” discutibile – ed incredibilmente ristrette. Belle e quasi toccanti le cut-scene, che accennano a una trama cui viene frettolosamente posta una fine indecorosa ma il resto, considerando il potenziale a disposizione, è da buttare.
Le novità rispetto ai predecessori e alla concorrenza non mancano, e bene o male rispettano tutte le attese: il doppio zoom è funzionale e non ha deluso le pippe mentali che mi ero fatto guardando i trailer del gioco; le “retate” avvengono in maniera l’una simile alle altre, salvo poche sorprese, ma sono anticipate dalla scelta del modo in cui fare sfondamento e dalla possibilità di sbloccare nuove animazioni con gli headshot effettuati durante lo slow-mo – un mezzo encomiabile per sfruttare al meglio quei tempi effettivamente morti. Ottima e coinvolgente anche la sezione di guida cui accennavo quassù, mentre è realistico il trattamento delle fasi da cecchino, con l’obbligo di valutare traiettorie e spostamenti d’aria per colpire il proprio bersaglio.
A non funzionare sono invece le meccaniche più classiche: i movimenti del protagonista non sono fluidi come dovrebbero essere, gli scontri a fuoco ravvicinati si complicano (anche) per l’ingombranza dell’arma, l’intelligenza artificiale ha comportamenti mostruosi che la rendono imprevedibile come lo sarebbe un matto da legare. Ma è la longevità della campagna in solitaria, raccontata peraltro in maniera confusionaria e poco interessata, a rappresentare un minus di cui è impossibile non tener conto all’acquisto: 13 capitoli, alcuni di una brevità che definirei “fantasiosa”, per un totale di quattro o cinque ore senza particolari picchi non valgono neppure la metà dei €60/70 richiesti dai poveri negozianti. E non venite a dirmi, come nel caso di Modern Warfare 2, che il valore dell’offerta va giudicata nel suo complesso e cioè con tanto di multiplayer, perché lì la situazione, complice la fuga di massa su altri lidi e piattaforme, è destinata soltanto a peggiorare.
Non voglio infierire oltre e d’altra parte avrete già capito dove andrò a parare. Il “probabile passo falso” di cui parlavo in fase d’introduzione si è compiuto: Medal of Honor: Warfighter è un titolo in tutto e per tutto trascurabile, mediocre sia che venga considerato a parte che in confronto con produzioni simili. Battlefield 3 può tirare un sospiro di sollievo perché non ha ancora trovato un degno rivale interno e più di lui può farlo Call of Duty, che con Black Ops II è destinato a regnare pure quest’anno.
La delusione è così cocente che potrebbe spingere voi e soprattutto Electronic Arts a non avere più fiducia in questo marchio. A ognuno le proprie valutazioni…
Sviluppato da Danger Close e pubblicato da Electronic Arts, Medal of Honor: Warfighter è disponibile dal 26 ottobre per PC, PS3 e Xbox 360.