I cerchi si aprono e si chiudono in continuazione. Lo fanno con una rapidità impressionante quando di mezzo ci sono gli affari, il marketing, una domanda così forte da non poter restare inascoltata. La domanda di un nuovo Halo, di un episodio che mandasse la serie avanti negli anni e non proponesse un prequel o spin-off magari senza quelle due paroline magiche. Senza il feeling speciale di un robot dal cuore umano che fa salti mirabolanti e spiaccica qualche battuta di tanto in tanto per far sentire il suo innegabile carisma. Senza Master Chief.
Halo 4 è un triplice benvenuto, insolito se consideriamo la sua perpetuazione a fine gen. Il primo se lo prende 343 Industries, lo studio di cui tanto si è parlato negli ultimi mesi e che ha raccolto brillantemente, come vedremo nelle righe in basso, l’oltremodo pesante eredità di Bungie. Il secondo è più un bentornato, che porta la firma del protagonista indiscusso della serie, il già citato Master Chief, tornato a prestare la sua figura per celebrare al meglio una consolidata formula di successo. Il terzo anticipa un nuovo inizio, una coraggiosissima trilogia che ha l’ambizione di continuare laddove la precedente aveva osato fermarsi per non spingere più sull’acceleratore; d’altronde ne avevamo parlato qui: perché rallentare?
La guida artistica di 343 Industries è più “morbida” rispetto al passato. Ne conseguono paesaggi così raffinati da sembrare acquerelli, che ricorrono con maggiore frequenza richiamando le origini del franchise, e colori molto accesi, messi lì a ricreare una palette di colori inedita per questo motore grafico. Tocchi di rosso e giallo, una rarità nei capitoli precedenti, sono ora la norma e rappresentano uno straordinario plus tecnico, che si palesa con forza vibrante negli “effetti speciali” – la ricarica di una certa pistola, l’uccisione di un certo nemico – derivanti da talune frequenti situazioni. Questa grande espressività visiva è naturalmente coadiuvata da mezzi e strumenti degni di nota che, pur nella statica riproduzione degli ambienti aperti, fanno gridare al miracolo con trucchi di luci e ombre raramente apprezzati sulla console di Redmond. Canto del cigno o nuova giovinezza, chiamatela come vi pare, ma quella imposta dagli sviluppatori di Seattle è una linea che mi auguro possa essere seguita negli ultimi anni di vita della nostra Xbox 360. Una linea che impone di spremere al massimo l’hardware attualmente a disposizione, senza stupidamente preservarsi per un futuro incerto.
Il futuro di Master Chief, al contrario, non è per niente incerto. L’eroe Microsoft per eccellenza si è appena risvegliato da un sonnellino cominciato alla fine di Halo 3 e Cortana, la sua fidatissima IA, gli presenta un programma coma farmatologico: i Covenant assediano la nave su cui ha dormito tanto a lungo, una nuova minacca, quella dei Precursori, incombe dal passato sul presente dell’umanità e la stessa Intelligenza Artificiale ha una crisi di mezza età – la “rampancy”, come la chiamano i dev in lingua originale. Starà alla mente geniale che l’ha programmata risolvere questo delicato problema nell’arco della storyline di Halo 4, infarcita di un mare di nemici (ai soliti Grunt e Flood si sono affiancate diverse altre specie che hanno dell’inquietante ma sono spettacolari a vedersi, divertenti da eliminare) e dei lancia la granata, salta e spara che tanto godimento mi hanno procurato negli anni scorsi.
Bella storia, certo. D’altro canto è Halo, era lecito aspettarsi il rispetto di uno standard qualitativo e quantitativo di prim’ordine. Ma la narrazione fila davvero così liscia? Non proprio. Al di là di un prologo eccezionale e dei dialoghi pregnanti di emozioni tra MC e Cortana che hanno tutte le carte in regola per entrare nella storia dei videogiochi, infatti, lo storytelling di questo nuovo capitolo fa talvolta fatica a collegare una sequenza di pura sparatoria all’altra e quando stenta non riesce a riparare con la necessaria credibilità. Anche per questo ci si ritrova dinanzi a quasi inspiegabili portali che portano da una stanza all’altra, sezioni piene di compiti ripetitivi o labirintiche e che alla lunga rimuovono persino la memoria della missioni in corso. Impressioni simili le avevo avute anche in Halo 3, a dirla tutta, già meno in ODST e Reach – segno che pure Bungie era incappata in un problema simile ed era riuscita ad affinare in corsa il suo approccio al level design. Trattandosi di uno shooter, comunque, se proprio doveste perdere il filo del discorso non faticherete troppo a ritrovarlo, complici i tanti documenti da spulciare nei menù del gioco e una ricca interfaccia come sempre intuitiva.
Ai tanti nuovi contenuti del pacchetto narrativo, l’ho accennato prima, fa da contraltare un gameplay felicemente classico, impreziosito di poche e sostanzialmente marginali novità. Oltre alle nuove armi a impulsi, e alla reimmaginazione del vecchio arsenale che fa adesso la sua splendida figura, troviamo una pletora di strumenti quali scudi (una volta attivati parte una suggestiva inquadratura in terza persona, come succede per le torrette), piccoli droni d’assistenza, ologrammi da spedire “all’attacco”, visori per scrutare le mosse del nemico al buio o nella nebbia – alla loro introduzione sarà possibile immergersi in una delle missioni di maggiore atmosfera. Nonostante la prima porzione di campagna a loro riservata sia di ahimé pessima fattura, i veicoli recitano un ruolo fondamentale, come di consueto, specie nelle modalità cooperative e non ne mancano di mai visti prima: mentre l’enorme Mammooth lo ritroverete, per questione di dimensioni ed equilibrio, solo nel single-player/co-op, i mech Mantis potrebbero entrare a far parte dell’immaginario collettivo dei fan di Halo grazie alla sua agilità e al parco mosse (attacco melee, razzo e mitra) decisamente utile. Warthog e Mongoose, sarò banale, rimangono infine tra i mezzi più divertenti da guidare dell’intera industry videoludica.
Banshee e altri prodotti della tecnologia Covenant compaiono invece nella prima Spartan Ops, una “stagione” di episodi paralleli alla campagna principale che sarà possibile vivere insieme a un massimo di tre amici. La struttura delle Spartan Ops è semplice: la stagione d’apertura è disponibile da subito ed è composta da cinque episodi, le altre arriveranno in un secondo momento ed arricchiranno l’offerta d’intrattenimento all’infuori della trama originale. Nella fattispecie, si tratta di storie impreziosite anche da filmati in computer grafica, di breve durata e basate sul completamento di alcuni obiettivi – generalmente vicini al “recati in questo punto, distruggi questa roccaforte” e con poco meno di un’oretta di gameplay aggiuntivo in Leggendario, per cui vi sconsiglio di farvi delle eccessive aspettative. Una riflessione di carattere generale mi è saltata in mente proprio provando questa porzione di gioco: l’Intelligenza Artificiale sembra spesso e volentieri non all’altezza di quella studiata per gli illustri predecessori. Riconosco che durante la campagna single-player non ho avuto da ridire sulla loro qualità, ma è nelle Spartan Ops, non vorrei dipendesse da un percorso di ottimizzazione particolarmente affrettato, che gli avversari si impiantano in determinati punti (sebbene a livelli di difficoltà elevati) o semplicemene rinunciano ad attaccare. In tanti anni di Halo non mi era mai capitato nulla di simile e spero vivamente in un “difetto” circoscritto ai capitoli esterni alla campagna; in caso contrario, qualcuno ha un benché minimo grattacapo su cui ragionare.
Veniamo infine al multiplayer, comparto in cui 343 Industries si è presa i rischi di maggiore rilievo, accostandolo a quello di FPS più “moderni” come Call of Duty e Battlefield. Come? Confermando la personalizzazione dello Spartan e i potenziamenti dell’armatura (jetpack, visore prometeico e quant’altro) introdotti in Halo: Reach, e presentando gli inediti pack tattico e di supporto. Con il primo sarà possibile alternare ricarica più radida degli scudi, maggiore potenza di fuoco o mobilità – se permettete, consiglierei un attacco massiccio per chiudere lo scontro al first blood; con il secondo, invece, avrete modo di ampliare il radar o mantenerlo attivo anche durante il puntamento. Le specializzazioni consentono poi di continuare a dedicarsi al multigiocatore anche una volta raggiunto il livello massimo – sempre che non abbiate acquistato la Limited Edition, che le include tutte di default; l’edizione normale ne ha due.
Ma la chicca più interessante è senz’altro il meccanismo con cui gli sviluppatori intendono premiare coloro che si distingueranno per le loro azioni sul campo: a un numero elevato di kill o strisce, infatti, seguiranno armi e upgrade sempre più potenti. Ingredienti mutuati da concorrenti bellici di grande successo che, pur non testimoniando una notevole originalità del team di sviluppo, portano un’apprezzabile ventata d’aria fresca ad un multigiocatore altrimenti nato già vecchio e ormai insipido. D’altra parte, in un mondo che pone Gears of War: Judgment nelle condizioni di spostarsi verso il class-based, non c’è certo da stupirsi per simili derive.
Non poteva naturalmente mancare la Fucina, lo splendido editor di livelli con cui creare mappe in collaborazione con gli amici di Xbox Live: la parte più divertente dell’esperienza rimane senz’altro la creazione stessa, per la serie “il viaggio è più importante della meta”, proprio grazie alla pletora di condizioni e variabili che potrete porre sullo schermo. L’interfaccia è stata semplificata con una serie di indicatori di posizione e utility, in modo da permettere a chiunque di sfruttare gli oggetti nel modo più corretto e non, come fa il sottoscritto, lanciandosi nel vuoto a bordo di SUV militari. Una modalità di tutto rispetto per chi cerca sempre nuovi modi per restare incollati alla console.
Concludendo in tema di modalità, le nove disponibili, con la variante Flood a combattere l’ondata di popolarità degli zombie e la mia amata SWAT, e le mappe – tredici, con i fantastici mix di gioco verticale e orizzontale (date un’occhiate a Ragnarok per capire) – non riservano brutte sorprese, anzi mostrano una concreta fedeltà al lavoro svolto per il predecessore Reach. Unica particolarità di rilievo è la presenza sulla mappa dei punti di respawn delle armi, che in tutta franchezza mi fa storcere un tantino il naso: premesso che dopo una sola giornata di lancia la granata, salta e spara riesco a ricordare persino dove ho capottato per la prima volta con il mio Warthog, era proprio necessario facilitare così il compito ai neofiti?
Piccole perplessità e imperfezioni a parte, che non inficiano affatto la qualità complessiva di questo prodotto, vi chiedo di non distogliere la vostra attenzione dalla realtà dei fatti: come previsto, Halo 4 è il Messia di fine 2012. Non c’è nulla, e fidatevi di uno che di giochi ne prova tanti ogni mese, che mi faccia videoludicamente godere di più. Farvelo sfuggire è non solo un crimine nei confronti della vostra Xbox 360, ma anche un modo sciagurato per porre fine alla sua esistenza.
Dopo Halo, il nulla? Probabile. Di certo, l’annata delle esclusive Microsoft si chiude qui e sarà dura ricominciare nel 2013, senza una nuova piattaforma e IP – Gears escluso – capaci di reggere l’urto della concorrenza. Fino ad allora, siate spensierati e divertitevi: Master Chief è tornato.
Sviluppato da 343 Industries e pubblicato da Microsoft Studios, Halo 4 sarà disponibile dal 6 novembre solo per Xbox 360.
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PaoloSirio
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