Binary Domain non è l’ennesimo clone di Gears of War. Sembrerà una banalità, ma di questi tempi, quando si parla di sparatutto in terza persona, è già un bel traguardo. Specialmente se si pensa alla sua terra d’origine, quel Giappone che non ha paura d’ammettere la sua crisi creativa e che in Toshiro Nagoshi, ideatore della serie Yakuza, ha trovato la persona adatta per un’operazione di certo non semplice: imitare la trilogia di Epic Games e mostrare al contempo una buona personalità. C’è riuscita, SEGA, aggiungendo al mix un tocco di Dead Space e una spruzzatina (non di più) di Mass Effect.
Siamo a Tokyo, nel 2080. Il design è tipicamente cyber-punk e in alcune circostanze la mente vola a Blade Runner. Non è casuale l’accostamento alla pellicola di Ridley Scott: i nemici di Binary Domain non sono Locuste, né alieni, ma cyborg. E sono incredibilmente… belli. Sì. Un character design che non ha nulla da invidiare a quello dei robot di Io Robot o alle migliori macchine sterminatrici di Terminator. Molteplici, insomma, le citazioni cui l’opera SEGA si presta a una prima occhiata.
La sostanza, poi, è un gameplay tipicamente third person shooter. C’è il sistema di copertura, lo scatto, il quadrante per selezionare le armi. Eppure la sensazione non è quella di giocare la copia nipponica di Gears of War. Il feeling è subito diverso e te ne accorgi quando Dan, il protagonista al comando della squadra R.U.S.T., si catapulta letteralmente per scavalcare il muretto appena usato come riparo, o quando la telecamera gli ruota intorno prima di rimettersi alle sue spalle, a seguito di una (delle tante) cut-scene. Il personaggio è, insomma, più leggero e slanciato di Marcus Fenix, e questo si ripercuote sul gameplay. Che non attinge solo dallo sparatutto di Cliff Bleszinski, ma anche dal survival-horror di Electronic Arts, dal quale prende in prestito il sistema di smembramento dei nemici per trasportarlo dai viscidi mostri della Ishimura ai lucidi robot umanoidi di Tokyo. Grilletto e mirino a portata di mano, è possibile puntare a singole parti del corpo dei cyborg (per guadagnare qualche punto in più da spendere in upgrades e medikit nelle stazioni di servizio disseminate lungo i livelli) o solo alla testa, così da mandarli in tilt e farli rivoltare contro i loro stessi compagni. E questo rappresenta, da solo, un passo non indifferente verso quell’operazione di differenziazione dal titolo Epic Games.
Ma c’è dell’altro. C’è una squadra da gestire: all’inizio di ogni fase giocata è possibile scegliere i membri del proprio party e con essi intraprendere la missione, tra mech giganti nel centro di Tokyo e sequenze spettacolari (ma che nulla offrono al gameplay, se non appunto un briciolo di spettacolarità in stile Uncharted) a bordo di jet-ski, tra i tunnel allagati della vecchia metropolitana. Il rapporto con i compagni di squadra viene gestito attraverso un sistema che parte dai tipici comandi tattici durante gli scontri a fuoco (da impartire a voce, tramite headset o Kinect, ma anche via pad, la scelta al giocatore) fino ad estendersi ai dialoghi che, il più delle volte, fanno seguito ai combattimenti. Niente di troppo vicino a Mass Effect, sia chiaro, ma un passo avanti rispetto al colosso di Epic Games. Certo, nelle intenzioni di Nagoshi c’era qualcosa di più complesso: il modo in cui il giocatore porta avanti i dialoghi avrebbe dovuto plasmare i rapporti con gli altri team della squadra, tanto da influire sul loro grado di obbedienza. È così solo in parte, ed è un peccato. Perché è un sistema che sulla carta funziona e spesso anche nella pratica, ma non è abbastanza.
Non è abbastanza per fare di Binary Domain qualcosa in più di quello che già è: un ottimo sparatutto con una trama intrigante e con qualche momento “wow!”. E non c’è mica da lamentarsi. Anzi.
Sviluppato da Yakuza Studio e pubblicato da SEGA, Binary Domain è disponibile dal 24 febbraio su Xbox 360 e PlayStation 3.
Potrebbe interessarti anche...
-
http://www.facebook.com/people/Enrico-Supertramp/100003565042913 Enrico Supertramp
-
Valerio Campiglia