Trovo odioso valutare ciò che è in base a ciò che sarebbe potuto essere. Ma, nel caso di I Am Alive, è praticamente impossibile non farlo: quel che “sarebbe potuto essere” ti viene sbattuto in faccia dall’inizio alla fine della sua esperienza ludica, con una serie di limitazioni paurose – dalla porzione di storia palesemente sradicata da quella della fu tripla-A inscatolata, al gameplay talvolta frustrante e incompleto – e un sistema di salvataggio così punitivo da non tener conto della piattaforma su cui questo (discreto) titolo è stato lanciato.
Partiamo proprio da quest’ultimo punto. I Am Alive, ricorderete, fu presentato all’E3 2008 come l’Assassin’s Creed post-apocalittico di Ubisoft: un titolo, in sviluppo presso la buona Darkworks, che avrebbe dovuto competere con le migliori produzioni in circolazione, diventare un franchise milionario ed anticipare un filone che sarebbe poi stato ripreso da Naughty Dog per The Last of Us. Premesse che avrebbero anche trovato un certo riscontro, se il gioco, quello che sarebbe dovuto essere ma non ciò che è, fosse stato rilasciato almeno due anni fa. Ed ecco il “punto” di cui sopra: l’avventura ora firmata Ubisoft Shangai è consapevole di non essere un prodotto retail, con il budget che ne consegue, solo sotto l’aspetto grafico: nelle altre parti che lo compongono si camuffa da blockbuster del videogioco, fastidiosamente non riconoscendo i propri limiti. Mi riferisco, nella fattispecie, a due particolari feature del gioco: la prima riguarda i salvataggi e i cosiddetti “tentativi”, limitati inizialmente a tre ma in potenza anche cinque o sei, scaduti i quali l’utente sarà costretto a ricominciare l’intero episodio. Un sistema ansiogeno che ci sta anche in un simile contesto, dove tutto sembra mettersi per il verso sbagliato, ma che ludicamente sfocia nella frustrazione di doversi sorbire più volte la stessa porzione di campagna.
In secundis, e qui ci addentriamo nella giocabilità, il meccanismo a doppia barra – una per l’energia e l’altra per la salute, con quest’ultima che non ha pressoché senso – è decisamente punitivo per un Live Arcade: ogni gesto che non sia il semplice camminare, e quindi la corsa, l’arrampicamento o il semplice respirare quando la location viene invasa da una misteriosa coltre di polvere, richiede un tot di energia, ripristinabile attraverso gli oggetti trovati per la città di Haventon. Il problema sta nella quantità di stamina richiesta: spesso e volentieri mi sono ritrovato a non averne a sufficienza e vagare per le ambientazioni, senza sapere che fare, in attesa dell’inevitabile morte. Ecco, un meccanismo del genere è la dimostrazione della volontà degli sviluppatori: I Am Alive è una sfida continua (un tantino ripetitiva?) al giocatore, in netta controtendenza rispetto all’industry del giorno d’oggi, che ambisce a raccontare una storia e recintare nell’ambito del possibile quel che possa mettere in difficoltà. Il risultato è un’esperienza spezzatino, che sciupa una potenziale ottima atmosfera sull’altare di un tento-ritento-fallisco francamente fuori luogo.
L’idea portante di quel trailer losangelino è comunque rimasta: quella, cioè, di un gioco in cui sparare è più dannoso del semplice scappare o ingannare il proprio nemico. Ubisoft Shangai, lo stesso team di Splinter Cell: Double Agent e dunque piuttosto addentrata in questo tipo di concept, ha voluto restare fedele al primissimo progetto, dandoci due possibili interpretazioni del combattimento per intimidazione: non estrarre l’arma da fuoco, con i personaggi a difendere l’area di appartenenza e contenti di vedere il protagonista svicolare dal loro campo d’azione, ed estrarla (la visuale passa in prima persona), con le ritorsioni del caso in termini di aggressività e rapidità nel colpire.
Ciò che delude dell’incontro con gli NPC, per quanto ingegnoso e di primo pelo rispetto alla “concorrenza” ma evidentemente castrato, è l’assenza di un intermedio tra le due strade: possibile che, in un survival che mette di fronte uomini disperati, non ci sia spazio per un briciolo di dialogo? Possibile che, insomma, non sia stata data l’opportunità di persuadere ciascun personaggio e stringere con lui un qualunque tipo di relazione? Possibile, certo che è possibile: gli sviluppatori cinesi non l’hanno fatto e, anzi, hanno riservato un bivio soltanto nella scelta tra l’aiutare i poveracci trovati per strada (c’è chi avrà bisogno di kit medici o addirittura di una sigaretta) e il semplice non farlo, che comporterà una valutazione inferiore a fine livello – e chissene.
La storia, che non a caso cito sul finire della mia Opinione, è un ulteriore sintomo del voler limitare un raggio d’intervento certo non da ampliare, ma da adeguare alle esigenze di una piattaforma come Xbox Live: dopo un breve, brevissimo incipit, che lo trascina nei flashback dei vari episodi, il giocatore si ritrova ad Haventon – una città tanto agognata dal protagonista ma non da chi lo controlla, se consideriamo che costui nulla sa, a differenza della sfera affettiva meglio dipinta – nel sempre più vano tentativo di ritrovare moglie e figlia ad un anno di distanza da quella che viene chiamata Catastrofe (una serie di terremoti che hanno sventrato il pianeta e innalzato una nube di polvere). Per questi motivi, e pochi altri che non vi svelerò in questa sede, sarà necessario arrampicarsi a destra e a manca, in una netta e di tanto in tanto riuscita imitazione di Uncharted con corda e rampino, e raggiungere degli obiettivi che, sempre di tanto in tanto, non sembrano giustificare cotanta peregrinazione.
Se non avete mai sentito parlare di I Am Alive, quindi, il gioco non vale assolutamente la candela dei 1200 Microsoft Points; per l’altra fetta di utenza, che immagino piuttosto sostanziosa, immergersi nell’ultimo dei vaporware – peraltro in un affascinante semi-bianco e nero – potrebbe essere un’esperienza tanto affascinante quanto da dimenticare.
Sviluppato presso Ubisoft Shangai e pubblicato su Xbox Live da Ubisoft, I Am Alive è disponibile da mercoledì 7 marzo al costo di 1200 MS Points.
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