Dopo lo Spring Showcase di San Francisco, Halo 4 ha assunto la dignità di gioco vero e proprio. Non più vapore emesso dalle macchine del marketing, ma realtà sbattuta con prepotenza in faccia agli utenti che, diciamoci la verità, un po’ l’avevano messo da parte, nel cantuccio dei sogni irrealizzabili, questo quarto episodio della serie.
Con la stessa prepotenza di Microsoft e 343 Industries, che non a caso parlano di “gioco più bello mai visto su console”, devo riconoscere che Halo 4 è ancora circondato, subissato, oserei dire nascosto dai fumi dell’amor proprio. Ogni scarrafone è bello a mamma sua, stando al proverbio: mai come in questo caso la sapienza popolare si dimostra lungimirante e, passatemi il termine, retromirante.
Permettetemi di riportarvi alla mente il caso decisamente sui generis di Halo 3. Il primo capitolo della saga Bungie a sbarcare su Xbox 360 viene pompato all’inverosimile, in quella che, attenzione, non è una mera operazione commerciale. In quei bollettini settimanali la software house di Seattle metteva un pezzo di se, della propria anima videoludica; non un estratto di ciò che il gioco realmente era, ma di quel che avrebbero voluto fosse. Questo non è un inganno, amici miei, perché implica la partecipazione di chi questo stesso inganno ha creato: è un’illusione. Un’illusione a cui Bungie, Dio li abbia in gloria, ha creduto fino in fondo e forse crede ancora.
Sarete giunti all’inevitabile conclusione, ma lasciatemi finire. Il signor Frank O’Connor, una persona che stimo perché, nel suo inesorabile fantasticare, ha permesso anche a me di vivere la suprema illusione del capolavoro, era coinvolta nel progetto Halo 3 come lo è in Halo 4. Anzi: da franchise director ha ancora più voce in capitolo rispetto al passato e questo, beh, questo non so quanto faccia bene alle mie coronarie. Mi spiego: non sapremo mai chi davvero abbia spinto sul pedale dell’acceleratore quando, magari, era meglio spingere un tantino sulla frizione, così, per dosare il momentum e semplicemente rallentare. Potrebbe essere stato O’Connor e, giunti a questo punto, regalatigli i panni da Molyneux, dovremmo dargli al Massimo il 50% della fiducia che gli stiamo dando attualmente.
Ma potrebbe non essere stato lui, ed è questa l’ipotesi a cui sto credendo di più – sempre che non sia anch’io vittima, ancora una volta, dell’illusione firmata Microsoft. Vi dirò la mia: O’Connor mi sembra un tipo apposto. Un uomo pragmatico e uno sviluppatore altrettanto pratico. Nelle interviste rilasciate ieri, non ha fatto mistero del sistema dei perk nel multiplayer di Halo 4 ed ha aggiunto che c’è tanta roba di cui discutere che “agiterà” ulteriormente i puristi della saga. Ben venga. Ma lo vedo pragmatico nella sua prima, vera decisione. La decisione che ci ha condotto allo status attuale, a questo articolo, alle mie fantasie sull’illusione e l’inganno: dare un degno seguito ad una trilogia su cui era stata ripetutamente messa la parola fine. Non è poco. Ripartire dalla fine. Altro che poco, sembra impossibile. Come si fa? Con tanto pragmatismo, appunto: abbiamo bisogno di una storia ma ci siamo già giocati lo spin-off (ODST, Dio abbia in gloria pure lui) e il prequel (Halo: Reach, senza dubbio il più complesso ad aver visto la luce), per cui è necessario andare avanti. Troviamo il modo di andare avanti, giustifichiamolo in termini di narrazione e spariamo al massimo le potenzialità del gameplay.
Sul comparto grafico non mi faccio illusioni: a occhio e croce, ma si è visto davvero poco per sbilanciarsi, le novità tecniche mi sembrano piuttosto scarne, se non in termini di illuminazione. Una versione rivista del motore di Reach mi basterebbe – e pagherei anche il resto, via. Se parliamo di gameplay, si sperimenti pure, ben venga l’innovazione… ma attenti al personaggio che si nasconde sotto l’armatura di Master Chief e alle mille strade che il suo emergere potrebbe trovare.
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