Dando un’occhiata ai nostri “indici d’ascolto”, nelle giornate di ieri e mercoledì 29, ho sbattuto ancora una volta il muso contro una triste verità: Assassin’s Creed piace. Assassin’s Creed III piace, e anche molto. Assassin’s Creed piace non quanto un, che so, The Darkness; non quanto uno Splinter Cell o un Metal Gear Solid. Assassin’s Creed piace ai livelli di GTA, del quarto e del quinto episodio (ricorderete le convulse giornate del suo annuncio), il che è da un lato – quello di chi non impazzisce per la serie e raramente ha provato a capirla – preoccupante, ma dall’altro, dal punto di vista di Ubisoft e dei suoi sviluppatori, apprezzatissimo.
Il punto è: cosa ha fatto la serie Assassin’s Creed per entrare in un Olimpo finora proprietà privata di tre o quattro franchise? Grand Theft Auto, per dirne uno: il titolo che più di ogni altro ha innovato e innova quasi per definizione. Non c’è GTA senza qualcosa di nuovo, senza quella ricerca della novità che, con ogni ragionevole dubbio, potrebbe finire per divorare l’intera produzione. GTA, per intenderci, faceva del free-roaming quando questa denominazione ancora non esisteva. Che piaccia o meno, la saga Rockstar ha dato tanto al mondo dei videogiochi, e un posticino negli evergreen – e nelle “parole” più ricercate sulla rete – se lo merita tutto.
Assassin’s Creed? Non so quale sia il meccanismo che scatta nelle menti dei videogiocatori ad ogni minimo annuncio su di lui, su quel personaggio tanto figo quanto intollerabile che è Ezio Auditore, o sull’Altair che nulla dice e niente fa. Apro e chiudo una parentesi: non tiratemi in ballo Halo e Master Chief perché lì, almeno, un gameplay si sono sforzati di costruirlo nel corso degli anni – dando, più o meno allo stesso modo di GTA, inizio a un filone ludico completamente inedito su console. Ecco, ditemi una sola peculiarità di Assassin’s Creed. Una sola feature che lo caratterizza rispetto agli altri o, per restare in casa Ubisoft, da un Prince of Persia senza le sabbie del tempo. Vi aspetto nei commenti.
Dicevamo: Assassin’s Creed, meccanismo. Devo smentirmi, perché un’idea su quale ragionamento scatti insconsciamente nelle testoline dei videogiocatori me la sono fatta. E mi ha portato dritta dritta a Pro Evolution Soccer, la serie calcistica firmata Konami. Fateci caso: dalle mie (dalle nostre: Sergio mi ha confermato, per quanto possano valere casi come il suo e il mio) parti, chi gioca a PES, chi aspetta informazioni sul gioco e chi, in definitiva, è emigrato su Fifa negli ultimi due o tre anni si piazza ora tra i fan più incalliti di AC. Quindi, è interessante sottolinearlo anche in chiave sociologica, c’è una coincidenza tra gli utenti di PES e quelli di Assassin’s Creed: non so di quale tipo, ma c’è. C’è, vi dico! Che sia l’eccitazione per un concept “cafone”, popolare, come quello di un assassino che viaggia nel tempo e ammazza gente con lame nascoste sotto il mantello? Probabile. Che sia il sapiente marketing di Ubisoft, che, dopo quel famoso trailer rilasciato all’E3 2006, quando il gioco sembrava un’esclusiva Sony, ha “naturalizzato” il marchio? Possibile. Anzi, questo spiegherebbe perché, nel giro di nemmeno cinque anni, il brand sia diventato una delle certezze dell’industria videoludica.
Per quanto poche e incerte siano le conclusioni a cui siamo giunti, le riflessioni fatte a monte si basano sul concetto – sicuro, questo – che Assassin’s Creed “tira”, come diciamo in gergo: è un prodotto che funzione e della cui esistenza dobbiamo esser grati al publisher francofono. Continueremo ad informarvi su Assassin’s Creed III, diretto stavolta negli Stati Uniti, finché non potremo metterci su le mani e parlarne nella nostra consueta Opinione: magari chiuderò gli occhi o li aprirò, perché una chance ce la meritiamo tutti, quando arriverà in redazione…
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