The Legend of Zelda: Skyward Sword

Beyond Xbox, nel cuore dei videogiochi pt. 2: The Legend of Zelda: Skyward Sword

di • 12 gennaio 2012 • Videogames, inc.Commenti (4)1593

Nel mezzo delle mie vacanze natalizie ho deciso di prendermi una pausa da Xbox 360, Playstation 3 e PC, e di dedicarmi, infine, a una console che ho tanto maltrattato durante gli ultimi anni: il Wii. Non potevo avvicinarmici, ora come ora, senza acquistare una copia di The Legend of Zelda: Skyward Sword, il titolo, senza dubbio ammantato della leggenda di Shigeru Miyamoto, più rappresentativo e acclamato nella relativamente breve storia della console Nintendo.

Non ne farò una recensione perché, in fondo, questo non è né il luogo, né il momento adatto. Piuttosto, vorrei concentrarmi su alcuni aspetti che, ahimè, differenziano il modo di concepire il videogioco da parte della software house nonché platform holder nipponica e di Microsoft/Sony, ossia del duopolio che costituisce, a tutti gli effetti, la “nuova generazione”. Partirei, quindi, da un caposaldo che dovrebbe bastare, da sé, a spazzare via ogni ipocrisia in materia: l’alta definizione sarà come la manna dal cielo per i franchise di Miyamoto e per l’economia generale delle prossime piattaforme Nintendo. Non ho passato un secondo, soprattutto nella parte centrale di Skyward Sword e cioè quando il mondo di gioco si apre, lasciando spazio a una libertà condizionata che dà tempo per riflettere, senza pensare che, sì, questo gioco potrebbe davvero distruggere la concorrenza con un adeguato supporto all’HD. Non ci giriamo intorno: quest’ultimo, sfruttato a dovere e utilizzato proprio come “supporto” e non in qualità di base della produzione (cosa che è successa per un bel po’ di anni su Xbox 360 e PS3), avrebbe il merito di rimettere al passo coi tempi degli sviluppatori che, forse per piaggeria, hanno scelto di chiamarsene fuori e, soprattutto, un’ecosistema, quello Nintendo, che tornerebbe ad essere competitivo nel settore dei multipiattaforma.

Dicevo, la riflessione su alta definizione e dettagli tecnici emerge, al di là dell’impatto col gioco, non prima della sua sezione centrale: agli inizi, il giocatore è decisamente troppo impegnato a farsi prendere da un rapporto Link-Zelda dipinto magistralmente e dal loro amore che, prima o poi (magari platonicamente), sboccerà. Ciò di cui mi sono meravigliato, francamente, è come, nonostante le tanto decantate limitazioni tecniche, il team guidato da Eiji Aonuma sia riuscito ad esprimere, con una facilità impressionante, i sentimenti dei protagonisti: sono bastate delle sopracciglia disegnate, una particolare attenzione alle musiche e una caratterizzazione da manga, senza il ricorso al doppiaggio, per farceli “arrivare”. Qualcosa in cui, fatte le dovute e rarissime eccezioni, la next-generation ha clamorosamente fallito. E non stento a crederlo: nel campo del fotorealismo, le cose o le fai benissimo o non le fai proprio, perché basta la benché minima sbavatura a rompere l’incantesimo e farti perdere una credibilità a quel punto indispensabile.

Ecco, di Skyward Sword, e più in generale delle produzioni nipponiche (penso anche alla saga di Metal Gear, in cui i personaggi ti spiegano come sparare, parlando di “tasto azione” e via discorrendo), ho apprezzato il suo vendersi per quello che è: un videogioco. Quando stringi l’accoppiata Wiimote – nunchuck sai sempre che stai giocando, non corri il rischio di perderti nell’imitazione del blockbuster cinematografico di turno – che, per carità, ci sta e a lungo l’abbiamo ricercato, questo feeling da film hollywoodiano; è sufficiente saper dire “basta”, fermiamoci qui, torniamo sul serio alle origini e facciamo divertire.

Ci sarebbe ancora tanto da dire sulla creazione della trama, in Gears ed Uncharted affidata a grandi scrittori (o presunti tali) e curata, nei titoli nipponici, dai soliti noti per la loro genuinità. Ma in fin dei conti, cari lettori multipiattaforma, la discussione cade su cosa siano davvero i videogame: per i giapponesi, un mezzo per intrattenere e divertire, con limiti strutturali evidenti anche nell’ultimo Zelda; per gli occidentali, nonostante la contaminazione asiatica del motion gaming e la perfezione della loro tecnologia, una fedele trasposizione della realtà e storie iper-pompate eppure poverissime. L’importante, “rubando” questa o quella esclusiva all’altra console, è scegliere da che parte stare.


Che significa quel “pt. 2″? Che esiste una “pt. 1″, no?! Ok, ho capito, ve la siete persa. Passi per stavolta, eccovi il link, ma… acqua in bocca con Sergio!

Potrebbe interessarti anche...

  • Enrico Santi

    Zelda è sempre Zelda.

  • http://www.facebook.com/people/Fabio-Fortina/1161641810 Fabio Fortina

    C’è qualcuno che si piega alla grande N :D

    • Anonimo

      A volte sì e a volte no. Spiace vedere che Microsoft o chi per lei non è più in grado di fare avventure del genere (probabilmente non ne ha mai fatte, in questo genere), e che persino Nintendo abbia alcune difficoltà nel riproporle. :)

      • http://www.facebook.com/people/Fabio-Fortina/1161641810 Fabio Fortina

        Sono soltanto usi diversi :) Nintendo non si batte,MAI :D