Dark Souls, dalla copertina

Dark Souls, la pazienza è la virtù dei forti

di • 31 ottobre 2011 • RecensioneCommenti (0)2084

Il mondo dei videogiochi si divide attualmente in due regioni: la prima, sempre meno ampia di quanto si possa immaginare, è popolata dagli utenti che non hanno mai provato Demon’s Souls; la seconda, l’avrete intuito, da chi l’ha provato e, logica conseguenza, non riesce più a farne a meno. Nutro poche speranze nel fatto che queste due “fazioni” diametralmente opposte possano un giorno comprendersi, ed è anche per questo motivo che, ora, non vi spingerò ad amare Dark Souls: voglio soltanto che capiate perché rispettare lui, gli sviluppatori che ci hanno lavorato, e chi lo ama (forse) per puro istinto autolesionista.

La versione Xbox 360 di Dark Souls soffre di vistosi cali di frame-rate, in caso di azioni concitate, oltre a non offrire una definizione altissima degli scenari.

Mi spiego: Demon’s Souls prima, Dark Souls adesso… non sono giochi dall’elevata difficoltà. Sono giochi impossibili da portare a termine. Conosco qualche eroe, un paio di sopravvissuti a questa ecatombe made in Japan, ma è ben poca roba, rispetto al numero di coloro che hanno avuto il privilegio di metterci mano. Per quanto mi riguarda, mentre su Demon’s Souls stenderei un velo pietoso (ebbene sì, sono stato costretto ad alzare bandiera bianca), posso spendere delle parole di “elogio” per il suo successore: a dispetto di quel che sentivo, in giro per la rete e prima del lancio, Dark Souls gode di una serie di agevolazioni volte a mitigarne l’impossibilità. Penso a tutto il sistema dei falò, ossia checkpoint sparsi per le ambientazioni, con cui recuperare energia, riempire delle fiaschette – al massimo cinque, non scherziamo! – di punti vita, e recuperare la propria umanità, che era completamente assente nel primo episodio della saga. Episodio in cui, mi rivolgo ai novizi, bisognava trovare un commerciante e comprare delle erbe ogni qual volta fosse necessario rimettersi in sesto, oltre a dover ripartire dall’inizio del livello a ogni morte: un calvario, credetemi.

Differentemente dal predecessore, poi, l’approccio alle varie mappe non è più basato su un semplice (mai lineare) schema a livelli: in Dark Souls, dopo una ridotta sezione d’addestramento, il giocatore viene immediatamente spedito nel mondo di gioco. Un territorio montuoso, labirintico e pieno di tranelli, dal quale accedere a regioni come il Borgo dei non morti – dove il sottoscritto si è dolorosamente incagliato, maledetto troll! Non nascondo, ira a parte, che questo è il tipo di introduzione che fa sempre piacere: il gameplay ha una parvenza più elastica (perché di parvenza si tratta: in confronto con Demon’s Souls non è cambiato molto, se non la possibilità di viaggiare coi propri piedi verso la meta), e il suddetto monte, cosa ben più importante, è di gran lunga meno opprimente del Nexus.

Vi starete chiedendo, a questo punto, in cosa consista realmente la difficoltà firmata From Software. Innanzitutto, e di questo devo dar merito al team giapponese, la paura di perdere pesa tantissimo nell’economia dell’avventura. Più in Demon’s Souls che nel nostro, per fortuna, a ogni minimo errore l’utente viene punito in maniera irreparabile. A ogni istante di distrazione corrisponde una sconfitta, persino contro l’avversario che ritenevamo meno temibile; a ogni sconfitta consegue, infine, la perdita dell’umanità – componente importante, perché corrisponde a svariati bonus nell’articolazione delle abilità – e di tutte le anime, moneta di scambio nel titolo, raccolte fino ad allora. Aggiungerei, inoltre, che il gioco si diverte, di tanto in tanto, a generare incontri tutt’altro che divertenti: non è raro imbattersi in furiosi draghi volanti e rabbiosi cavalieri che, assolutamente stonando col livello dei personaggi dell’area, fanno piazza pulita senza mostrare la minima pietà.

Superato l’ostacolo psicologico, poi, si apre la parentesi (all’impatto) non troppo piacevole sulla giocabilità: i movimenti del protagonista, al quale assegnare nome e classe come nel più consueto degli RPG, sono lenti e macchinosi, ed è questo lo stratagemma usato principalmente dalla software house di Tokyo per dare una forte impressione di difficoltà. Nonostante il generale snellimento del pacchetto delle animazioni, rimane ancora di fondamentale rilevanza, quindi, l’uso dello scudo e della schivata: giusto per evitare di restare (mortalmente) trafitti dal più sciocco degli avversari di turno. Avversari che, e su questo chiudo, hanno anch’essi subito una vistosa ripassata: pur non spiccando per qualità, l’intelligenza artificiale è ora in grado di evitare i colpi degli altri personaggi, muoversi in orizzontale per confonderli e persino bere pozioni al fine di ripristinare i PV. Un lavoro degno di nota.

Le idee che lo hanno ispirato, la loro concretizzazione e le cattive abitudini del videogiocatore moderno fanno dunque di Dark Souls una produzione davvero per pochi. Se la pazienza è la virtù dei forti, spiccando un volo dalla comprensibile curiosità alla real politik, è consigliabile lasciar loro l’onere e l’onore di giocare all’ultimo action di casa Namco Bandai.

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