La verità è questa: Dead Rising e Left 4 Dead hanno influenzato il lavoro di Techland su Dead Island non solo per quanto riguarda la scelta del titolo. Le produzioni Capcom e Valve hanno esercitato un enorme fascino sullo sparatutto made in Poland, un FPS di quelli che tentano il colpo grosso pescando qua e là in un mare di (ottimi) dejà-vù. Scordatevi le epopee del west post-moderno di Call of Juarez: il sole splende sull’isola di Banoi, ma l’aria è notevolmente più pesante – c’è puzza di morto, a dirla tutta.
L’incipit di Dead Island, differentemente da quello dell’articolo che state osservando, è da incorniciare. Leggi le descrizioni dei quattro personaggi giocabili (ho scelto una donna esperta in armi da fuoco, il sogno erotico di ogni adolescente che si rispetti, sebbene le sue peculiarità ludiche non emergano facilmente) e ti aspetti il Left 4 Dead dei poveri, con tanto di scialbo comparto tecnico – un’imitazione in tutto e per tutto del Source – ma senza un briciolo di personalità.
Avvii la campagna, dopo qualche caricamento di troppo, e ti ritrovi in un’hotel pressoché deserto, stanze buie e letti divelti, che funge da miglior location horror degli ultimi anni. L’atmosfera è speciale, il coinvolgimento è alle stelle, complici le chicche come le valigie da depredare a mano (pure troppe) e le batterie magicamente ricaricabili della torcia elettrica.
Il primo contatto con il mondo di Dead Island è quanto di meglio questo gioco abbia da regalare: se non avessi già conosciuto la sua natura di splatter, sarei infatti andato cauto per i primi cinque minuti, quelli in cui non si farà vedere anima viva o non-morta. Un peccato che il lasso di tempo dedicato all’avanscoperta sia così breve ma, d’altra parte, gli intenti degli sviluppatori europei non coincidevano certo con quelli della gitarella di famiglia. Tutt’altro.
Il titolo Techland pare aver tratto l’unica (vera) novità di Left 4 Dead 2, l’utilizzo di armi bianche, e averci costruito intorno un’avventura cooperativa. Mentre per l’artiglieria ci sarà da aspettare un bel pezzo, non mancheranno sin dall’inizio mazze da baseball, scope, remi e chi più ne ha più ne metta, con l’interessante aggiunta, mutuata dall’interpretazione romeriana di Capcom, della loro credibile deteriorabilità: qualcosa di pratico – legato cioè alle prestazioni dell’arsenale – ma anche di visivo, con schegge e brandelli di legno che voleranno a seconda del “ferro” di preferenza. Dettagli che si fondono in un comparto grafico di tutto rispetto, pur con animazioni macchinose, e che mi spingono a chiedermi come l’avrei valutato se Dead Island fosse davvero stato nei negozi uno/due anni fa (cioè durante l’originale finestra di rilascio).
Oltre le apparenze, quindi, massacrare zombie restituirà un certo feedback. Godrete come ricc… No, non mi riferivo a questo. Stavo per parlare della componente RPG, piuttosto superficiale a dire il vero, che si paleserà attraverso il solito albero delle abilità: nulla di paragonabile ai vari Mass Effect e compagnia, ma c’è da fare una scelta, c’è da prendere una strada, e questo basta da sè a variegare il cammino di ciascun giocatore. Fare diversamente o di più avrebbe forse complicato un gioco che, in fin dei conti, si pone il semplice obiettivo della kill selvaggia: come per le missioni secondarie – tante ma di poca sostanza e inventiva, fortuna che la quest principale è di buona fattura – e la longevità che, con un massimo di venti ore, soddisferà appieno la sete di sangue del pubblico boxaro.
Dead Island mi è piaciuto per i motivi di cui sopra, pur facendomi storcere il naso per l’assenza di una vera e propria identità di gioco. Prendetelo se siete a caccia di un mix convincente degli stra-citatissimi Dead Rising e Left 4 Dead, evitatelo se siete a caccia di uno sparatutto e ripiegate sulle fonti di ispirazione nel caso vogliate un’esperienza co-op frequentata.
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