El Shaddai: Ascension of the metatron

El Shaddai: Ascension of the Metatron: Non ha né tempo né luogo

di • 23 settembre 2011 • RecensioneCommenti (0)1391

Quel che ti colpisce di El Shaddai non è tanto la trama, sebbene questa sia di una profondità che non ti aspetti, e nemmeno il comparto grafico, anche se stiamo parlando di un gioco che punta molto su tale componente. Mi ha meravigliato, dopo una sessione di qualche ora, l’incredibile capacità di estraniare il giocatore dal mondo vero e proprio: El Shaddai non ha tempo né luogo. Mi sono ritrovato a chiedermi se la strada che stessi percorrendo appartenesse a questo o quel livello, se stessi giocando nel capitolo “giusto” o vagando per gli errori che avevo potuto commettere. Ecco, è questo che al giorno d’oggi dovremmo chiamare profondità: un titolo in tre dimensioni – spazio, tempo e la profondità che appunto li caratterizza – coi suoi pregi e difetti, per carità, ma in grado di fornire un’esperienza… diversa.

Non voglio nascondervelo: El Shaddai è finito sulla mia scrivania per volere della sorte. Tiravamo i dadi, io e Sergio, per decidere chi dovesse recensirlo. “Tocca a te“, mi ha detto lui con un sorriso a trentadue denti, pensando, col sottoscritto a condividere, che si trattasse di una potenzialità non espressa. Quella che avevo intravisto anch’io con la demo rilasciata poche settimane fa (appartenente al terzo livello, il primo nella torre di cui parleremo più avanti): stile grafico estremo, questa sorta di negativo con la chioma bionda del protagonista a spiccare in mezzo al bianco e al viola, e un non so che di orientaleggiante per dare un tocco di misticismo alla produzione. “Ma sul piano del gameplay non ci siamo“, dissi tra me e me, alludendo a un pacchetto di animazioni e combo poco articolato. Un limite che permane nell’avventura completa, quindi non solo nella versione dimostrativa, ma qui levigato dalla durata di un percorso che mi ha tenuto occupato anche con altri argomenti.

I fondali attivi durante le sezioni in 2D esprimono una volta di più la creatività degli sviluppatori

Questa è la storia di un eroe senza nome. O meglio, dai mille nomi: per comodità, lo chiameremo Enoch. Lo chiameremo così noi e un tizio vestito elegante ma così maleducato da stare sempre al cellulare – un certo Lucifel – con un Altro dei piani alti. Il protagonista ha vagato per secoli alla ricerca della torre, quella di cui parlavamo prima, che ospita un manipolo di angeli decaduti per volere di Dio: questi bricconcelli hanno creato un velo tra cielo e terra per sfuggire allo sguardo del Creatore, illudendo così gli uomini di potere finalmente vivere in pace e ricchezza. Ma gli stolti capiranno ben presto, e comunque troppo tardi perché l’Onnipotente non potrà più ascoltare le loro preghiere, che quel benessere altro non era che un miraggio. E qui entra in gioco Enoch: proprio lui dovrà rompere il sortilegio degli angeli e salvare l’umanità. Un racconto che valeva la pena inserire nella mia recensione, e sul quale si fonda gran parte della “magia” di El Shaddai: a impressionare il videogiocatore non è soltanto la grafica o il sonoro – ne approfitto per citarlo: curato nei minimi particolari, dai movimenti nel menù alla soundtrack – ma come questi si fondano in una simbiosi perfetta. Una rarità per questa generazione action e caciara, specie se consideriamo la provenienza di tanto (è il caso di dirlo) ben di Dio: Ignition Games. Non Epic, tantomeno Naughty Dog. A dimostrazione che le idee non hanno pregiudizi, e che nemmeno noi dobbiamo averne.

Ma, dopo tanto ciarlare, parliamo infine di gameplay. Superato il primo quarto d’ora, in cui sembrerà di aver a che fare con un Live Arcade di quelli usa e getta, il nostro inizierà a dare il meglio di sè: un’altra arma (dovremo ripulirle dal male che le si appiccicherà, altrimenti non funzioneranno!), un’altra ambientazione. Eppure ho avuto l’impressione che tutto questo, alla lunga, non basti. Che lo sbadiglio, più o meno come in quel quarto d’ora iniziale, sia dietro l’angolo. Le boss fight, poste tra l’altro nei momenti meno aspettati, sono fondamentalmente l’unica variante seria all’hack ‘n slashing su cui pernea la giocabilità, e il level design punta troppo sul lato artistico per osare nelle piattaforme – 2D compreso. Questo significa che, è vero, El Shaddai è un gioco assolutamente unico sotto molteplici aspetti, ma che agli sviluppatori sia mancata l’esperta lucidità nel dosaggio degli ingredienti; la simbiosi c’è, lo dicevo prima e lo ribadisco ora, eppure riguarda quasi esclusivamente il versante concettuale.

Peccato perché una produzione del genere avrebbe meritato budget e tempistiche di gran lunga diverse. Il mio è un voto d’incoraggiamento affinché si trattino sempre di più tematiche similarmente impegnate e si sperimenti (ne discutevamo anche qui) sfruttando ogni aspetto utile: dalle capacità artistiche, che nel team di Ignition proprio non mancano, a quelle tecniche che, in linea di principio, sono come un buon vino. Migliorano invecchiando.

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