Duke Nukem: Forever: Nulla è per sempre

di • 6 agosto 2011 • RecensioneCommenti (0)1567

Non sono uno di quelli che, al solo sentir nominare il possibile ritorno di vecchie glorie, storce il naso, scava nei ricordi che l’ingannevole memoria addolcisce o inventa, grida al plagio, al more of the same e al “non sarà mai all’altezza dei predecessori”. Ma devo ammetterlo: in occasione del lancio di Duke Nukem: Forever, ho pensato che tirare di nuovo in ballo un franchise del genere fosse paragonabile al rimettere insieme i Beatles senza Harrison e Lennon; nel nostro caso, senza 3D Realms – una mancanza che non si sente, grazie al tocco di Gearbox, benché vada loro riconosciuto il merito di aver disegnato sezioni platform e d’altra natura che, in principio, potevano stupire.

Non ne faccio una questione di firme o di nomi; ritenere leggendari i creatori di una robaccia come Duke è sputare addosso ai veri maestri del videogioco, da Hideo Kojima a Shigeru Miyamoto. Tanta fama, va comunque riconosciuto, è dovuta esclusivamente ai contenuti di un gioco che, rilasciato in un’età di passaggio, sapevano sorprendere e coinvolgere in una sfera quasi familiare l’utente; nient’altro ti consentiva di fare pipì, ad esempio. E nient’altro ti consente di farlo anche adesso, nel 2011, anno in cui Forever pare decisamente fuori luogo e fuori tempo massimo. Nell’epoca in cui persino Master Chief (sbeffeggiato più volte durante la campagna in solitaria) non riesce più a farsi strada da solo tra migliaia di nemici, l’irrealistico Duke Nukem fa a meno di coperture e dell’aiuto di compagni d’avventura – pessima l’intelligenza artificiale, tra l’altro – per lanciarsi nella mischia senza alcun motivo e, soprattutto, senza un briciolo di logica. Ma Duke è fatto così. Volerlo analizzare “filosoficamente” è assurdo almeno quanto lo è lui; è come voler parlare seriamente di Serious Sam, è, insomma, un’enorme cazzata. Però, ecco, va trovata una posizione a questo tipo di gioco: credo sia evidente che il mercato retail mal digerisca certe trovate, che badi ormai più al succo che alle fesserie come fare i propri bisogni all’interno di un titolo mediocre, e che dunque, come successo al già citato Serious Sam, vada ritagliato uno spazio, magari su Xbox Live Arcade, per produzioni malinconiche e contemporaneamente ironiche.

Perché, parliamoci chiaro, l’unica ragione per cui ho giocato a Duke Nukem: Forever sta nella curiosità, nell’alone di leggenda che si era creato attorno a un gioco per la cui creazione sono stati spesi poco meno di vent’anni – e che nemmeno ti trascina alla sua conclusione. Una leggenda mal sostenuta, perché il suddetto andava completamente riscritto, rivisitato e riadeguato ai tempi; per carità, lungi da me voler omologare i prodotti videoludici a uno standard dettato da chissà chi. Ben venga l’originalità. Ma se a voi sembra che “originale” sia un gioco di anni or sono con una veste grafica appena appena ripulita… toccherà discutere dell’aggettivo, decisamente.

Vada per le modalità online fino a otto persone, poco frequentate, e per il doppiaggio che, di tanto in tanto, riesce a strappare un sorriso; vada per la campagna molto longeva e piuttosto varia, tra rimpicciolimenti, veicoli e torrette, vada per il comparto tecnico penoso ma tutto sommato anch’esso variegato e alla lunga digeribile. Il resto è noia: qualora 2K decidesse di tenere ancora in vita la serie, e pare lo voglia davvero fare, sarà il caso di riflettere e costruire qualcosa di nuovo, piuttosto che vivere sul lavoro (altrui) passato e sull’autocitazionismo dell’ultima ora.

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