Red Faction: Armageddon: L’evoluzione di una serie

di • 15 luglio 2011 • RecensioneCommenti (0)1341

Il nuovo Red Faction non si distacca dal predecessore Guerrilla solo per il sottotitolo. Anzi. I cambiamenti che ho riscontrato rispetto alla formula originaria, e che naturalmente avrà colto chiunque abbia già provato la demo disponibile su Xbox Live, sono palesi e molto discutibili. Com’è giusto che sia per ogni “innovazione” che si rispetti. Non c’è dubbio che Volition abbia intrapreso, sicuramente su spinta di THQ, una strada più favorevole ai casual gamer, a quelli che girano per negozi a caccia di sparatutto e comprano pure senza informarsi su cosa stanno effettivamente acquistando. La copertina à la Prince of Persia, non so perché mi viene in mente proprio lui, è di per se un indizio grosso quanto una casa.

Andiamo dunque nel merito di questa scelta radicale e differente intrapresa dagli sviluppatori nordamericani. Armageddon è un TPS, e su tale versante niente di diverso, ma preme tantissimo sul tasto della linearità, a sfavore di uno dei cardini del capostipite nonché punto di forza che ne aveva decretato il successo ai botteghini più elitari. Sarò sincero: benché apprezzi la filosofia open-world, per la ricostruzione di paesaggi enormi e per le sotto-quest che non sono mai da sottovalutare, finisco sempre per invischiarmi nei titoli story-driven, quelli, cioè, che vanno da A a B con pochissimi passaggi intermedi. Come indicato chiaramente dal nome, le produzioni story-driven hanno il pro di mettere al loro centro la trama, magari con qualche sperimentazione nella forma narrativa e un paio di trovate interessanti per un gameplay dopotutto monocorde al pari dell’Alan Wake di turno: le stesse meccaniche che troviamo nell’ultimo Red Faction e che, in verità, deludono persino me che sono un dichiarato fan della chiusura videoludica (intesa come sopra). Sono deluso perché dalle capacità di Volition, gli stessi tizi di Saints Row, mi aspetto ben altro che uno sparatutto in terza persona con i pregi e i difetti del genere; perché hanno talento e capacità sufficienti per esprimere un potenziale di gran lunga superiore ai limiti congeniti al third-person shooter, di cui raccoglie il multiplayer cooperativo a quattro nella modalità Infestazione.

Limiti che vanno dalla ripetitività dell’azione alla visuale fastidiosamente vicina al personaggio, senza dimenticare l’annosa questione del sistema di copertura. Concordo con quanti ipotizzano che quest’ultimo sia assente per via della possibilità di riparare gli ambienti con una delle nuove abilità del protagonista Darius Mason – che, tra l’altro, si lascia potenziare con un meccanismo piuttosto elementare – ma, alla fine della fiera, rimane l’imbarazzo nel colpire e lasciarsi colpire da un’intelligenza artificiale nemmeno chissà quanto elaborata. Un altro contro che la copertura riesce a limare o, quantomeno, a nascondere ai nostri occhi di videogiocatori incantati. A questi occhi, però, non è sfuggita neppure la deriva horror di talune location, che sembrano richiamare seriamente la saga di Dead Space: l’oscurità, i virus ambientali e talvolta persino l’interfaccia mi sono parsi più che una citazione del franchise EA, tirato forse in ballo come forza originale e non in qualità di prodotto multimilionario (cosa che è poi lentamente diventato); da amante del survival-horror di casa Visceral Games dovrei stare cantando a squarciagola per la gioia, e invece resto qui a lamentarmi dell’eccessiva influenzabilità, – ripeto – con ogni probabilità imposta da un publisher desideroso di mainstream, di una serie che credevo avesse la forza di andare avanti con le proprie gambe. Mi sbagliavo?

Vedendomi costretto a dare un voto anche a Red Faction: Armageddon, mi rifugerò nel classico 7.5: un buon gioco, dal grande comparto fisico (… la componente distruttiva è ancora al top dell’industria) e con un gradevole pacchetto visivo. Da cui, tuttavia, era lecito aspettarsi maggiore coraggio per sopravvivere nella giungla del mercato videoludico moderno.

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