Portal 2 è un gioco. E questa, di per se, è già una notizia. Il successo orizzontale del primo puzzle game, corto, minimalista e insano aveva infatti tenuto poco conto di una componente ormai fondamentale nel mondo dei videogiochi: la trama. Ce n’era una, accennata senza intrecci e dalla longevità insoddisfacente per soddisfare i palati “letterati” degli utenti più fini. E i ragazzi di Valve, nella fattispecie gli ex-studenti che, da giovani, smanettavano sulle mod di Half-Life 2, ne erano ben al corrente. Vi anticipo subito che hanno rimediato nel secondo titolo di quella che mi sembra una serie avviata alla grande, pur non snaturando quest’ultima sull’altare della drammaticità.
GlaDos è incazzata nera per com’è finita “la volta scorsa” ed è intenzionata a farcela pagare nella maniera più gratificante e semplice per lei: creare test. Molti test, a cui dovremo sottoporci non senza una punta di soddisfazione – quella che deriva dal risolverli, e che può altrimenti trasformarsi in frustrazione. Avremo un aiutante, il che rappresenta un’ulteriore novità sulla base della precedente, e solitarissima, esperienza (ringalluzzita da una affascinante co-op che non vedrete l’ora di provare): Wheatley, una spalla decisamente comica e portata alla vita da un doppiaggio straordinario, un personaggio che, ve lo consiglio ma non scendo nel dettaglio, sarà bene non sottovalutare nell’economia del gioco.
Un titolo che, dicevo, tocca vette inedite ed esplora nuovi campi senza sacrificare le logiche che avevano innalzato Portal sull’Olimpo videoludico. Per paradosso, uno di quelli che farà innervosire l’IA del cattivone di turno, P2 offrirà il meglio di se proprio in questi settori inesplorati. Dove richiamerà il piacere del gioco-non-gioco, del guardare dietro ogni angolo per scoprire dettagli nascosti dagli sviluppatori o, volendo rimanere nell’incanto del medium, per svelare le anomalie di un sistema artificiale corrotto. Un piacere che avevo intravisto nel capostipite e che Valve ha saputo ampliare con sagacia in questo seguito, fondamentalmente basato sullo squarcio del magico velo di Maya che copre ogni aspetto dei videogiochi moderni. Ed è oltre il velo, ribadisco, che il nostro da sul serio il meglio di se, tra la visione del robot propria di Syberia e l’utopia anni ’50 di un certo Bioshock.
Dunque un Portal 2 ancora al di là della semplice concezione di videogioco? Ancora ingabbiato nella sfera del gioco d’intelligenza e lontano da quella del classico platform? La risposta monosillabica a queste domande è una sola: NO. P2 ha dato prova, nell’arco delle sue scarse dieci ore di vita, di aver conseguito il grado di maturità che lo consegna, una volta per tutte, ala definizione di “videogioco”. Un po’ anomalo, magari sempre ospite in una casa che non gli appartiene, eppure videogioco. Apprezzabile da tutti, comprensibile e forse amato da pochi.
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