Brutto affare, la guerra. Ne sono consapevoli tutti, e forse più degli altri i videogiocatori – per forza di cosa assassini esperti che hanno girato il mondo con AK e altre diavolerie ben strette tra le mani. I videogiochi bellici, perché è di questo che stiamo parlando, iniziano finalmente a svestire i panni della parodia di Rambo, la guerra vista come uno contro tutti, per abbracciare il gioco di squadra. E, in quest’ottica, non poteva non tornare di moda un classico (che ha cambiato padrone): Operation Flashpoint. Sarò sincero, Dragon Rising aveva più di un elemento fuori posto e non mi aveva convinto fino in fondo; potrei estendere lo stesso discorso a Red River, un titolo che, cioè, non ha ancora “tutto in ordine”, ma che si propone di correggere alcune lacune del suo predecessore.
Un’esperienza più guidata, innanzitutto. La libertà d’azione è un dono divino, e su questo non ci piove, ma talvolta abusarne nuoce gravemente alla salute dell’utente. Specie nel genere degli FPS, che si pongono prevalentemente come spara-spara su binari più o meno dichiarati. Red River si relaziona al problema con un’interfaccia chiara, come quella che dovremo utilizzare, con una learning curve accettabile, per dare gli ordini ai nostri commilitoni, e precisa, grazie alla quale non soltanto sapremo dove andare, ma avremo (quasi) sempre davanti agli occhi dei passaggi intermedi che renderanno meno interminabili i frequenti viaggi a piedi. L’intelligenza artificiale, altro limite riscontrato in Dragon Rising, è stata leggermente smussata, pur rimanendo uno degli aspetti più discutibili del franchise: quella dei nemici è decente, perché raramente li vedremo sfrecciare da una postazione all’altra, rovinando l’impatto con la strategia su cui tanto deve (dovrebbe) puntare Operation Flashpoint; quella degli amici non è priva di bug e si mostra un tantino lenta sia nel capire gli ordini che nell’eseguirli. La presenza di numerosi nuclei a comporre la squadra degli Outlaw, poi, contribuisce a creare un clima di confusione che, se favorisce in alcune missioni, in altre è decisamente deleterio. A tal proposito, RR è decisamente più caratterizzato rispetto al prequel: avremo un caposquadra che ci urlerà i briefing con un linguaggio da rapper, mentre sullo sfondo (sonoro) potremo ascoltare pezzi della violenza di Symphony of Destruction dei Megadeth e Bodies dei Drowing Pool, oppure citazioni di Avatar e della sua Pandora in merito agli scenari del remoto Tagikistan.
Dalla bellezza platonica degli scenari passiamo a quella ben più materiale della grafica. Red River tiene generalmente bene il confronto con titoli dello stesso ramo, raggiungendo picchi di gradevolezza nella rappresentazione dei paesaggi e in quella dei combattenti, le cui armi e corpi sono ora molto più definiti; simile ma non identica a quella di Dragon Rising, la presentazione è molto accattivante e coincide con uno dei maggiori punti di forza dell’intera produzione. Resta da sottolineare, ma valga come critica per tutti i titoli che non siano L.A. Noire e Mass Effect, lo scarsissimo sforzo nella riproduzione delle espressioni facciali – ancora tabù per budget tutt’altro che milionari e tempistiche non esattamente da kolossal.
Consiglio Operation Flashpoint: Red River, in definitiva, agli amanti della strategia che non disdegnano il compromesso con gli sparatutto della sponda “casual”. A chi saprà apprezzare un buon potenziale cooperativo e a chi avrà voglia, portata a termine la corposa modalità campagna, ricca di spezzoni che sfioreranno l’ora, di lanciarsi negli scenari appositamente disegnati dagli sviluppatori. Senza dimenticare i videogiocatori a cui la guerra, nemmeno quella reale, non basta proprio mai.