“A dungeon crawl for the Gears age“. Recita così lo slogan di Kotaku stampato in bella vista sul retro della copertina di Hunted: La Nascita del Demone. E, in effetti, questa frase coglie in pieno l’essenza dell’action cooperativo targato inXile con la pubblicazione (addirittura) di Bethesda; lo ammetto a malincuore perché il nostro raggiunge le sue vette durante le fasi di esplorazione e soluzione dei pur semplicissimi enigmi, non quando si propone in qualità di Gears of War dei fantasy.
Quel che tenta, cioè, di essere per gran parte del gameplay. Un gameplay tutto sommato soddisfacente, variegato dalle caratteristiche differenti dei due personaggi utilizzabili, figlio delle esperienze sommate nel corso degli anni dai ragazzi di Epic Games e non solo, all’interno di un campo, quello dei TPS, che ha vissuto la sua stagione d’oro proprio nella corrente generazione: copertura alla pressione di un unico tasto – non rende chissà quanto bene, visivamente, perché sembrerà di essere sempre allo scoperto, anche senza esserlo davvero -, sviluppo progressivo e non lineare dei protagonisti, un accenno di trama (ahimè) al riparo da inutili esagerazioni et voilà. Il gioco, nel vero senso della parola, è fatto. Un gioco da 6.5/7, sia chiaro.
Ecco i motivi per cui mi spingo a dire che, se nel futuro di Hunted, che comunque merita uno o più sequel sotto l’egida dei creatori di The Elder Scrolls, ci sarà maggior coraggio e una personalità rivolta alle peculiarità – fin da adesso evidenti – della produzione, potremo un giorno ritrovarci di fronte a un serissimo action dalle tinte fantasy. E senza concorrenza, soprattutto. Perché spingersi così tanto tra le braccia degli shooter, allora, con un simile potenziale? Perché non pigiare il piede sull’acceleratore della trama e delle (belle, nonostante l’Unreal Engine) ambientazioni, anziché insistere sulle “sparatorie”, su una Crucible Mode ispiratissima all’ormai rinomata Orda (con una piccola differenza: qui le mappe le crea il giocatore…) e su rare, talvolta incomprensibili e ininfluenti sottoquest che ti trascinano dritto nel campo di videogiochi più affermati?
Rimango convinto, e qui smetto di sottolinearlo, che una maggiore articolazione delle location (già ampie per i canoni dei cloni di Gears), un sostanziale approfondimento dei caratteri e un sistema meno all’acqua di rose per magie e affini avrebbero potuto spingere La Nascita del Demone – ancora: si fa giocare ma non esce per un pelo dal limbo dei sufficienti – molto in alto sulla classifica dei migliori titoli del 2011. Una scalata che, spero, sia soltanto rimandata a un successore più consapevole dei propri mezzi.