Vi tolgo subito ogni dubbio sull’idea che mi sono fatto di Dragon Age II: un gran gioco, un titolo che chiunque si definisca amante degli RPG, e in particolare di quelli provenienti dagli studi Bioware, dovrebbe provare. Avevo imperdonabilmente mancato Origins, un errore che il secondo episodio della serie rende ancor più difficile da mandare giù; ma, in ogni caso, è il bello dei videogiochi: puoi comprarli come e quando ti pare – se non hai problemi ad arrivare alla fine del mese. Anche perché, da quel che ho capito nelle svariate ore di "prova" (tra virgolette, sì, erano mesi che recensire non mi divertiva così tanto), la storia, pur intricata, variegata e aperta a miriadi di scenari, è soltanto uno dei punti su cui va a concentrarsi l’attenzione del giocatore.
[img alt='Quelle spade potrebbero infilarsi ovunque, per dirla coi protagonisti di Dragon Age II']/immagini/Articoli/category1505/picture114334.aspx[/img]
Partiamo proprio dalla storia. Quella del nuovo gioco di ruolo da Edmonton non ha vette particolari e, anzi, in più di un caso mi ha spinto a chiedermi il perché di tanto peregrinare; le motivazioni che spingono l’eroe a girovagare per un’interessantissimo mondo di gioco, insomma, non sono sufficientemente esplicate, o non sembrano poi così importanti da restare impresse nella memoria (non la RAM, ma quella assai più volatile dell’uomo medio). È come quando, nel mezzo di un pressoché noioso corso di Semiotica, ebbi a che fare con l’espressione "il medium è il messaggio": nel caso di Dragon Age, il gameplay è il motivo per cui andare avanti, oltre gli orpelli narrativi e le chicche di stile che comunque non mancano. Una pecca, allora? Sì, una pecca di cui ho risentito poco durante l’avventura – ma pur sempre una pecca.
Il gameplay si erge pertanto a leit-motiv del nostro, facendo leva su un sistema di combattimento semplificato ma di notevole impatto sia visivo che ludico – talvolta muori e uccidi senza accorgertene, grazie ai componenti del ricco party – e sui dialoghi che, ormai marchio di fabbrica della software house canadese, "scelgono" il binario per cui far passare la trama. Brillanti, arguti, decisi: i commenti che il protagonista, generato (o ripreso dal predecessore) tramite un discreto editor nelle fasi iniziali, e sorprendentemente anche i personaggi secondari riserveranno a ciascuna situazione, con quest’ultimi in grado di iniziare simpatiche discussioni persino senza l’intervento dell’utente. Un notevole aiuto alla creazione dell’atmosfera ideale proviene dal doppiaggio, esclusivamente in inglese, infarcito di dialetti e sfaccettature degne di un Oscar videoludico; credo che pure i meno avvezzi all’uso delle lingue straniere gradiranno, coadiuvati da sottotitoli poco invasivi – pulitissima l’interfaccia, in tal senso – e capaci di non stravolgere il senso delle battute originali. Tra i migliori lavori svolti in questa generazione di console.
[img alt='Raining blood!' align='center' width='400']/immagini/Articoli/category1505/picture114335.aspx[/img]
Menzione a parte merita il meccanismo di progressione dei pg. Bioware ha fatto ricorso, ancora una volta, allo schema ad albero; una scelta che condivido per immediatezza, ma non solo. L’idea della biforcazione calza a pennello sui role-playing game, poiché se scegli un aggiornamento dovrai talvolta rinunciare ad un altro; potete dunque cogliere da soli i vantaggi – che vanno dalla longevità alle responsabilità lasciate ai giocatori – a cui lo sviluppatore va incontro con tale mezzo. Non ho apprezzato appieno, invece, la limitatezza dell’inventario: mi è stato chiesto più volte di gettar via materiali ai quali non pensavo di rinunciare, e francamente non ne capisco il perché. Ecco, perché l’utente meno deciso (uno come il sottoscritto, insomma) deve sentire la pressione, il fiato sul collo che solo una sacca ristrettissima sa trasmettere? Non me ne farò mai una ragione e Dragon Age fa tutt’altro che spiegarmi i motivi di questo "fenomeno".
Graficamente parlando, infine, il secondo capitolo della saga del drago si difende molto bene: i protagonisti godono di fattezze realistiche e assai curate (adorabili quegli elfi!), con espressioni facciali – perlopiù insanguinate, fateci caso – non ai livelli dell’upcoming L.A. Noire ma al di sopra degli standard attuali. Peccato per le animazioni un po’ scattose dei movimenti e per la cattiva gestione delle situazioni più concitate: il frame-rate cade in presenza di troppi personaggi e dei rari effetti di illuminazione – inutile installarlo su disco rigido, l’antifona non cambia. Alto anche il tasso di back-tracking, che porta alla leggera inflazione delle (relativamente poche) ambientazioni disponibili.
Ma davvero noterete questi difettucci? Io ho dato loro il giusto peso, e sto ancora cercando una cura per smettere di giocare a Dragon Age II. Se vi va di ammalarvi, non potete fare a meno di acquistarlo.
8.5 |
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